Aiuto! L’invasione islamica è ormai una realtà. A sfondare la fragilissima prima linea valoriale e identitaria dell’Occidente è stata la potente armata dei taglia-lingua nel nome di Allah. Il loro obiettivo è mettere al bando, qui dentro casa nostra, nella nostra culla della libertà, nella nostra patria dei diritti fondamentali della persona, qualsiasi critica e meno che mai condanna dell’islam come religione. L’islamofobia verrà bandita per legge in tutti gli stati europei, in ottemperanza ad una prima risoluzione, la 16/18 approvata dalla Commissione per i diritti dell’uomo delle Nazioni Unite a Ginevra nel marzo 2011 che contempla la lotta contro l’intolleranza, gli stereotipi negativi, la stigmatizzazione della discriminazione, l’incitamento alla violenza, l’uso della violenza contro le persone sulla base della loro appartenenza religiosa. Per la verità quest’insieme è esattamente ciò che ritroviamo nel Corano e nella predicazione d’odio, di violenza e di morte delle moschee, ma incredibilmente si ritorcerebbe contro coloro che non vogliono sottomettersi all’islam, al Corano, a Maometto e alla sharia, la legge imposta dal loro Allah.
Ed è così che lo scorso 15 e 16 febbraio a Bruxelles, con il benestare dell’Unione Europea, l’Organizzazione per la Cooperazione Islamica (Oic), finanziata dai sauditi e il cui attuale segretario generale è il turco Ekmeleddin Ihsanoglu, ha organizzato un seminario per denunciare la campagna anti-islamica presente in alcuni mezzi di comunicazione di massa in Occidente, con l’obiettivo di indicare ai partecipanti, compresi i giornalisti occidentali non islamici ma conniventi con gli islamici, come contrapporsi alla campagna mediatica anti-islamica. Questa iniziativa avrebbe già il sostegno di Obama e della Clinton.
Come è possibile che finiremo per imporci da soli il bavaglio? I teorici del relativismo nostrano, compresi quelli che si annidano nella Chiesa, per screditare il valore delle radici giudaico-cristiane della civiltà laica e liberale dell’Occidente, spesso fanno riferimento al versetto tratto dal Vangelo secondo Luca (6,43-49) che recita «ogni albero si riconosce dal suo frutto». A loro avviso non sono tanto importanti le radici bensì i frutti dell’albero. Una tesi che mira a mettere aprioristicamente e acriticamente sullo stesso piano tutte le religioni, le culture e le ideologie a prescindere dai loro contenuti perché, secondo i relativisti, si può aderire ai valori non negoziabili della sacralità della vita, della dignità della persona e della libertà di scelta partendo da radici diverse e finendo per condividere lo stesso frutto. Bene, ai relativisti nostrani ricordiamo la prima parte del versetto evangelico che chiarisce: «Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono». A che cosa mi riferisco? Dopo la sbornia ideologica che ha trascinato in modo pressoché compatto l’Occidente succube del materialismo e ammalato di relativismo ad infervorarsi per la cosiddetta «Primavera araba», caldeggiando l’indizione delle elezioni con il coinvolgimento delle forze d’opposizione islamiche che sono esplicitamente ostili ai diritti fondamentali della persona e alla democrazia sostanziale, oggi tocchiamo con mano i frutti dell’operato degli islamici che si sono imposti al vertice del potere.
Ovunque sta montando una campagna di condanna a morte, con l’emissione di fatwe (responsi giuridici), contro i «nemici dell’islam». In Arabia Saudita rischia di essere giustiziato il giovane giornalista Hamza Kashghari per essersi rivolto su Twitter in modo colloquiale a Maometto nella ricorrenza del suo compleanno scrivendo: «Non pregherò per te. Non m’inchinerò davanti a te. Non ti bacerò la mano». In Egitto Naguib Sawiris, cristiano copto, magnate della comunicazione mondiale, è già stato portato in tribunale per avere pubblicato sempre su Twitter l’immagine di Topolino e Minnie, l’uno con la barba da salafita, l’altra con il velo integrale. In Tunisia sono sotto processo sia il direttore della tv Nessma fondata da Tarak Ben Ammar sia il direttore del settimanale Attounisia per oltraggio all’islam. Tanti altri casi di censura alla libertà d’espressione, nel nome dell’islam, si susseguono anche in Marocco, Algeria, Libia, Yemen, Pakistan, Nigeria, Indonesia e Malaisia.
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