Uno dei vizi in cui la politica spesso cade è quello di pretendere dai cittadini l’impossibile (esentando se stessa dal possibile). Diciamo meglio: la politica talvolta legifera pensando all’ottimo e non già al possibile. Poi ovviamente quando deve essere giudicata, come nella presente sfida regionale, chiede invece che lo si faccia per quel poco che è riuscita a fare, viste le condizioni complessive, le opposizioni, le vischiosità burocratiche e così via. Il professor Francesco Forte ha nelle settimane scorse scritto riguardo al pasticcio della lista elettorale di Roma e al decreto subito emanato dal governo: non lamentiamoci della soluzione trovata dalla politica per sanare i propri errori solo formali, piuttosto pretendiamo che tale indulgenza sia estesa a tutti i cittadini nelle diverse occupazioni che essi svolgono e soprattutto nei rapporti con la pubblica amministrazione. Ecco. Vi raccontiamo una piccola vicenda che dà il senso di come le amministrazioni locali spesso ragionino vivendo nel mondo dell’ottimo e non già in quello del possibile.
La premessa è che l’Italia ha un grande primato. Qualsiasi sciocchezza burocratica venga approvata con il timbro di Bruxelles, viene recepita con ritardo ma peggiorata dal legislatore italiano: non c’è regolamento burocratico europeo che dalle nostre parti non venga reso ancora più stringente e capzioso. Se la Ue stabilisce una forchetta di valori, state pur certi che il Parlamento italiano adotterà la cifra più onerosa per il cittadino e le imprese. Così, con quell’aria da primi dalla classe a spese nostre.
Ma arriviamo alle piccolezze. Chiunque voglia vendere un immobile dal prossimo primo di luglio deve consegnare un foglietto di carta che ne certifichi l’efficienza energetica. Lasciamo perdere in questa sede ogni critica al principio stesso. Chi voglia vendere il proprio appartamento deve dunque rivolgersi a un certificatore. Del tipo: «Lei chi è?». «Sono il certificatore. Stia fermo, si taccia e mi faccia subito vedere il suo muro?». «No il muro no, il serramento invece sì». «Piuttosto lei mi dica dove batte il sole? E come mai quel palazzo a otto metri le fa tutta questa ombra». «E che ci posso fare io, il mostro è dell’Aler». «Quante volte al giorno apre la finestra per far cambiare l’aria? E la caldaia? Dove è il libretto?». «Ma perché circola anche lei? E poi io la so a malapena accendere?». «Ma come non ha il timer? Lo sa che è vietato non avere il timer? E ogni mese, dopo che grazie all’installatore autorizzato lo avrà messo in opera, deve controllare quanto sono cariche le pile del timer, perché se si scaricano sono guai». «Scusi certificatore e come la mettiamo con i miei figli? Quando giocano non creano calore interno? Non me lo può certificare». Potremmo continuare per ore con questa kafkiana filastrocca. Ma, dicevamo, ai proprietari di casa tocca tra le altre anche questa nuova incombenza. Sia chiaro, una volta certificata non è che succeda nulla: sappiamo quello che sapevamo prima e cioè che i criteri con i quali una casa è stata edificata fino a venti-trenta anni fa non facevano granché conto della dispersione energetica. Ecco perché praticamente in tutta Italia (come puntualmente fa notare la meritoria Confedilizia) il proprietario di casa ha la facoltà di autocertificarsi la propria incapacità. Insomma può scrivere su un foglio: questa casa è nella categoria energetica G, la peggiore. Se poi dovesse essere un pelino meglio, peggio per lui. Pazienza, oggi il mercato non sta apprezzando (dando un prezzo) alla pagellina delle case per uso residenziale. In genere chi compra è più attento ad altre caratteristiche. Nel futuro probabilmente con l’aumento dei prezzi energetici si potrà forse correttamente prezzare il minor consumo che una casa ben fatta comporta. Ma oggi no.
Il punto è che in tutta Italia è data al cittadino la facoltà di darsi un voto in pagella insufficiente, tranne che in Lombardia. Eh sì. Perché i lombardi sono smart. La procedura è la seguente. Un proprietario di casa, consapevole della vetustità delle proprie mura e dunque dell'inevitabile voto G da parte del certificatore, in Lombardia deve comunque rivolgersi allo specializzato per farsi dire ciò che già sa. Un appuntamento in casa, un’ora di sopralluogo, da 600 ai mille euro di parcella, 15 giorni di trepidante attesa, timbri, tre copie, una consegnata al Comune e il calcio negli stinchi: voto G. Era già tutto previsto, ma la Lombardia lo certifica. Fantastico. Così come per le caldaie, gli uffici della burocrazia milanese avranno una straordinaria mappatura di tutti i nostri usi, consumi, dispersioni, polveri che realizziamo. In questa grande fattoria ambientale, muore il buon senso, si spendono quattrini in modo improduttivo, si perdono ore e ore di lavoro e si compilano carte su carte che giustificano se stesse le prime con le ultime.
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