Politica

La prima promessa di Prodi: aumentare subito le tasse

Il Professore alla festa dell’Udeur: «L’imposta sulle rendite finanziarie va portata dal 12,5 almeno al 18%, ci sono tanti modi per tutelare i risparmiatori...»

Gianni Pennacchi

nostro inviato a Telese (Bn)

Ma sì, tutto va bene madama la marchesa, anzi va male per il centrodestra e per il Paese, però non ci son nubi sul centrosinistra e andrà benissimo per l’Italia quando Palazzo Chigi sarà riconquistato. Romano Prodi non ha dubbio alcuno, alla platea della festa mastelliana distribuisce latte e miele. Però, onde non appannare le magnifiche sorti e progressive evita accuratamente ogni argomento spinoso. Nemmeno un cenno di politica estera, niente di niente sulla lotta al terrorismo, Fausto Bertinotti par che faccia parte di un’altra alleanza ed è evocato soltanto per dargli ragione se rifiuta la ricetta «delle lacrime e sangue»: tutta l’Unione «è d’accordo» a non voler piangere. Come far cassa allora, se invece i conti pubblici son disastrati, almeno a detta del prof bolognese? Tassando le rendite finanziarie, ovviamente discernendo «i piccoli risparmiatori da chi specula». E poi basta con le illusioni neocentriste, sarà lui a ridar lucentezza al bipolarismo, e sia chiaro che la legge elettorale non si riforma a ridosso ormai delle elezioni. Avanti dunque con le primarie: Prodi non teme brutte figure, anzi è certo di incassare il biglietto per la vittoria alle elezioni vere. Visto in Puglia? «Senza le primarie non avremmo vinto, Vendola non era un radicale bensì un radicato». Sarà anche colpa dello slogan elettorale che il candidato premier ha lanciato dal palco, «coi giovani per rilanciare l’Italia», un po’ moscio in verità, ma gli applausi finali son risultati meno entusiasti di quelli che lo avevano accolto.
Accerchiato dai giornalisti dopo il discorso, Prodi non ha potuto sottrarsi alla domanda se l’Italia debba ancora ritirarsi dall’Irak. «Questo lo abbiamo già detto varie volte», ha brontolato. Incalzato poi sulle lacerazioni del centrosinistra su ogni tema di politica estera, ha sospirato: «Sono stato molto onesto quando ho detto che ci sono alcuni punti sui quali si sta lavorando e discutendo. Tra questi c’è certamente la politica estera, proprio perché anche recentemente abbiamo avuto disparità e anche differenze. Ma c’è stato un processo di riavvicinamento che sta proseguendo con grande soddisfazione».
Non meno contorta risuona la ricetta per rilanciare l’economia e risanare i conti pubblici. Sempre che Prodi risulti vincitore, ovviamente. Ma se «niente lacrime e sangue», anche perché «altrimenti ammazzeremmo il sistema», come reperire i fondi? «Cominciamo a far pagare le imposte», esorta rispolverando la mitica lotta all’evasione che ogni governo italiano (anche il Prodi d’antan) sbandiera senza mai riuscire a cavarne un baiocco. Dunque, qualcosa di più fattibile per il rilancio: «Occorre tagliare parte delle imposte sulle ore lavorate», rendendo «più armonico il sistema fiscale». Bene bravo, ma chi paga? Ecco la soluzione prodiana: aumentar le tasse sulle «rendite finanziarie, perché queste sono tassate dal 18% in su in tutti i maggiori paesi europei, mentre in Italia lo sono al 12,50%»; sul lavoro invece, «le tasse gravano più del doppio»; ci sono poi «tanti sistemi per tutelare i piccoli risparmiatori da chi specula, chi ha una sola casa da chi ne ha più di una». Riformar tassando, poichè «l’attuale sistema porta squilibri e iniquità».
Per esorcizzare ogni suggestione centrista che ancora serpeggia nella Margherita e nell’Udeur, Prodi l’ha presa di sponda, rispondendo al recente rilancio di Mario Monti: «Tanti problemi del nostro Paese sono stati causati proprio dai governi di centro, che pur di stare insieme non prendevano decisioni. Con il bipolarismo invece, è tutto più semplice, c’è una chiara alternanza». Perché allora, «abbiamo avuto cinque anni di paralisi?», s’è domandato per non sembrar contraddittorio o tanto meno tenero col premier in carica. E subito s’è risposto che «non è colpa del bipolarismo bensì del governo di centrodestra che ha lasciato alle sue frange estreme e radicali un peso decisivo, ricattatorio».
Ieri sera infine, Prodi s’è trattenuto a cena col padron di casa. E Clemente Mastella è stato chiaro nelle sue richieste, che aveva già adombrato alla festa ricordando pubblicamente la sua fede in due santi, San Clemente papa «che tornava sempre a galla» nonostante volessero affogarlo e San Gerolamo «un po’ incazzoso», che chiedeva perdono al Signore per tal suo carattere ma continuava a irarsi facilmente. «Se ci tratti bene», gli aveva detto Mastella, «saremo fedeli e leali. Altrimenti...». Tra un piatto di risotto al tartufo e noci e qualche bicchiere di falanghina e di taurasi, il leader di Ceppaloni ha elencato le sue richieste: regole certe «ed eque» per le primarie, dove conta di posizionarsi a pari merito con Bertinotti, e la possibilità concreta di portare a Montecitorio fra i 30 e i 40 deputati.

Prodi non ha detto no.

Commenti