Il promoter arrivato sulla 128 della prof

Il promoter arrivato sulla 128 della prof

L’incontro con Vincenzo Spera, promoter fra i più efficienti d’Italia, creatore di eventi, produttore, giornalista, Cavaliere della repubblica, (il «Cavaliere della musica» lo hanno definito) inizia su un macchinone nero molto chic, con lui che per venti minuti parla con i più grandi manager dello spettacolo del mondo. Per fortuna la telefonata finisce e ci spostiamo nel suo «santuario», ricco di immagini, di fotografie dei più acclamati protagonisti musicali del mondo.
Vincenzo Spera è nato a Salvitelle (in provincia di Salerno), è dunque un uomo del Sud. Ha una sorella Michelina, un fratello Angelo. Oggi ha anche una stupenda compagna, Danaury e una altrettanto splendida bimba di tre anni Mariantonietta. Ha studiato a Salerno, una quasi-laurea in Giurisprudenza («mi mancano quattro esami»), l’arrivo a Genova è datato 1974.
Perché Genova, Spera?
«Strane coincidenze. Noi del Sud consideravamo allora Genova città piena di fermenti, affascinante. E poi un’occasione per me unica: mio concittadino era il professor Romanzi, rettore allora dell’università genovese. Fu lui a portarmi a Genova. Ma prima, durante il liceo, un’altra occasione mi avvicinò a Genova. La mia professoressa di inglese era di Sturla e fu lei a portarmi in macchina per la prima volta nella vostra città. Volevo conoscere questa Genova, insomma».
Non eri innamorato della solita professoressa?
«No, davvero no. Le chiesi solo “Mi dai un passaggio... per Genova?”. E lei mi imbarcò sulla sua “128” verde».
Arrivi nel ’74 a Genova. Che città trovi?
«Inizialmente chiusa, bigotta, diversa da quella che avevo pensato. Il distacco da casa mia era forte. Mi ricordo che, nei primi tempi, andavo sul porto ed ascoltavo molti napoletani, il loro dialetto mi faceva sentire vicino a casa mia. Ero arrivato con la solita valigia di cartone. Ma poi tutto è andato bene».
Infatti fu proprio nel ’74 che...
«Fu quell’anno, nel dicembre debuttai con il mio primo concerto. Fu all’Aliseo, dove oggi c’è la Tosse. Presentai Giorgio Gaslini e i Latte e Miele. Allora la musica non era ancora un fatto industriale e si organizzavano solo concerti singoli, momenti-eventi...».
Avvenne negli anni ’80 il vero salto di qualità.
«Esatto. L’organizzazione di grandi concerti divenne un mestiere. E il mio grande rapporto fu con Franco Battiato. E poi e poi...».
Quanti concerti avrai organizzato in 36 anni di attività?
«Penso migliaia per un totale di sette milioni di spettatori. Con Battiato abbiamo passato ore indimenticabili, comprese quelle nella vecchia trattoria di vico San Bernardo che lui amava molto».
Altri momenti... indimenticabili?
«Infiniti. L’incontro con Bennato, poi con Guccini (20mila persone al Palasport), il fondamentale concerto di Peter Gabriel nel settembre dell’80. Il Festival di Nervi, Frank Sinatra, Luciano Pavarotti. Nel ’95 Roberto Benigni, Antonello Venditti, Renato Zero... Vedi, riuscimmo ad espugnare quei luoghi dove nessuno aveva pensato di mettervi dentro della musica. Ricordo quanta fatica (con certi politici) per avere la “Chiamata del porto”».
Chi è oggi Vincenzo Spera?
«Una persona che cerca di rispettare gli altri e il suo pubblico e che desidera che questo rispetto sia reciproco. Oggi il rispetto manca molto. E poi sono una persona caparbia, che non si arrende mai e che raggiunge sempre l’obiettivo che si è posto. Mi è andata sempre bene. Un po’ per fortuna un po’ perché le persone che mi hanno conosciuto, mi hanno anche stimato».
Quali sono le tue grandi passioni?
«Viaggi, conoscenza, il “diverso” in senso culturale. Non amo una cultura monoteista. Ovviamente la musica».
Quanto conta il lavoro per te?
«Se non avessi lavorato non sarei esistito. È stata una pietra miliare per la mia crescita. Ho superato tutte le crisi proprio con il lavoro. Alla fine degli anni ’70 c’era la grande crisi dei valori... mi ribellai. Ma oggi vedo che stiamo tornando a quegli anni. Bisogna ritrovare se stessi».
Genova è una città colta?
«Lo è. Gli manca però l’apertura sul mondo... nonostante i genovesi siano stati grandi navigatori. Se parli con i singoli genovesi trovi cultura vera, ma il senso della cultura collettiva manca...».
Sei mai stato da uno psicanalista?
«Mai. Ma negli anni ’70 in un momento di crisi esistenziale andai a Parigi. Volevo stare da solo. Non conoscevo la lingua. Vivevo in una “casa occupata” e sai cosa vuol dire. Il tutto mi ha fortificato. Un altro mondo per me fondamentale è stato l’Oriente. Trovai là la pace interiore».
A 13 anni cosa volevi fare?
«L’ingegnere. E volevo avere una Citroen Gs».
Di che cosa hai paura?
«Non ho molte paure. Quando però vedo l’ignoto non trovo con chi rapportarmi. Il vuoto, sì, mi fa un po’ di paura».
Se non vivessi in Italia dove vorresti vivere?
«In Oriente. In verità avevo un progetto che stava per realizzarsi. Ma poi i figli...».
Credi nell’Oroscopo?
«Abbastanza. Credo soprattutto nel magnetismo. Credo in una sorta di training-autogeno».
Il tuo vizio capitale?
«Non sopportare la stupidità. E l’arrendevolezza».
Le persone che ammiri di più?
«Purtroppo sono tutte scomparse. Nell’ordine: mio padre, il rettore Carmine Romanzi, Mario Fazio di Italia Nostra, Fabrizio De Andrè e don Bruno Venturelli. Li ho ammirati perché erano persone che solo con il loro contatto mi trasmettevano sempre qualcosa».
Pensi di essere simpatico agli altri?
«Sono totalmente simpatico o totalmente antipatico. Sono del segno dei Gemelli, non conosco mezze misure».
Cosa ci vuole per diventare tuo amico?
«Sincerità, affetto e solidarietà».
Cosa apprezzi di più in una donna?
«La capacità di coinvolgermi e farmi sognare».
Che mondo è quello dello spettacolo?
«Forse migliore di molti altri mondi lavorativi».
La cosa più preziosa che possiedi?
«Mariantonietta».
Sei bugiardo?
«Una volta su cento. Qualche volta, sì sono bugiardo perché qualche volta ci vuole».
Perdono o vendetta?
«Senz’altro perdono, ma senza mai dimenticare. C’è sempre un ritorno nella vita».
Cosa mangi a pranzo alla domenica?
«Visto che la mia compagna è straordinaria cuoca, apprezzo seppie in umido, acciughe, pasta al pomodoro di San Marzano».
Ti rimangono dodici ore di vita: che fai?
«Aspetto».
Cosa hai imparato dall’amore?
«L’amore è altruismo. Guai se lo si scambia per egoismo e spesso accade».
Quanto conta il sesso nella tua vita?
«Conta molto, perché costituisce il momento significativo per creare una sintonia con la compagna che ami».
Perché fai l’impresario teatrale?
«Perché volevo fare il musicista, ma non era il mio forte. Ho iniziato per gioco, oggi è un mestiere, il più importante della mia vita».
Facciamo un gioco: De Gregori o Dalla?
«De Gregori».
Garibaldi o Mazzini?
«Garibaldi».
Grillo o Crozza?
«Grillo».


De Andrè o Paoli?
«De Andrè»
Barbera o Champagne?
«Champagne».
Bionda o bruna?
«Bruna».
Carlo Felice o Palazzo Ducale?
«Carlo Felice».
Vincenzi o Pinotti?
«X».
Una ragazza bella e scema o brutta e intelligente?
«Bella e scema». (E giù una risata).

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