Economia

«Pronti all’energia pulita ma i Comuni ci frenano»

«Abbiamo trasformato la chiusura degli zuccherifici, imposta da Bruxelles, in un’opportunità: puntare sull’energia da fonti rinnovabili, riconvertendo gli impianti dismessi. Ma questi progetti, che rispettano l’ambiente e salvano i posti di lavoro, sono bloccati, perché i Comuni sono ostaggio di comitati pseudoambientalisti. Riteniamo quindi necessario che i progetti siano dichiarati di interesse nazionale e siano nominati dei commissari». Gaetano Maccaferri, presidente del gruppo omonimo e di Unindustria Bologna, ha le idee chiare: il suo è un progetto che viene da lontano.
Che cosa vi ha convinto a scommettere sull’energia?
«Nel 2006 la riforma a livello europeo ha ridimensionato drasticamente il settore saccarifero, provocando la chiusura di quasi tutta la produzione nazionale. Il nostro gruppo, che con Eridania era leader nel settore, ha dovuto chiudere sei zuccherifici su sette: ma subito abbiamo avviato i progetti di riconversione, nel rispetto della legge 81, che il governo aveva approvato nel frattempo, per fronteggiare una situazione di crisi agricola e occupazionale importante».
Come avete proceduto?
«Abbiamo creato una subholding, la Seci Energia, a cui affidare le nuove iniziative: in particolare, Powercrop, la joint venture con il gruppo Falck, che nel 2007 ha presentato cinque progetti per riconvertire gli zuccherifici dismessi in centrali a biomasse per la produzione di energia elettrica. Lo stabilimento di Jesi diventerà invece un impianto per la produzione di biodiesel da circa 250mila tonnellate all’anno, in joint-venture con la raffineria Api di Falconara».
E i progetti sono stati approvati?
«Tutti i progetti che stiamo portando avanti sono già stati approvati fin dal 2008 dal Comitato interministeriale, e successivamente dalle Regioni. Vorrei sottolineare che si tratta dell’iniziativa più significativa, a livello nazionale, nel settore della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di origine agricola, realizzata nel pieno rispetto della normativa».
Allora qual è il motivo del ritardo?
«L’ostacolo viene dai Comuni: nonostante siano stati approvati i singoli accordi di riconversione, i sindaci delle località interessate sono ostaggio di comitati ed associazioni varie, che li tengono sotto pressione, strumentalizzando l’opinione pubblica con false informazioni sull’impatto ambientale di questi impianti, che in realtà è inferiore a quello delle caldaie dei vecchi zuccherifici. Tanto più che si tratta di dimensioni tutt’altro che rilevanti: 20-30 MWelettrici. Ma non dimentichiamo che a primavera ci saranno le elezioni amministrative, e la campagna elettorale è già cominciata».
Quindi che cosa pensate di fare?
«Al momento stiamo portando avanti una defatigante procedura per rimuovere questi vincoli a livello locale, che bloccano un investimento da oltre 400 milioni di euro e la creazione di 500 e più posti di lavoro, in un settore dove attualmente la maggior parte degli addetti si trova in cassa integrazione. Ma abbiamo anche sensibilizzato al problema la Confindustria, anche perché ci sono impianti di altre società nelle stesse condizioni».
Che cosa chiedete?
«Quello che proponiamo è che questo tipo di progetti sia riconosciuto di interesse nazionale, inserendo la norma in uno dei provvedimenti legislativi attualmente all’esame del Parlamento. In questo modo, sulla scorta del decreto anticrisi per l’accelerazione delle opere pubbliche, sarà possibile nominare dei commissari ad acta, che suppliscano all’inerzia delle istituzioni locali.

E ritengo che un progetto relativo al settore energetico dove l’Italia ha un deficit importante, funzionale all’obiettivo ambientale 20-20-20 da cui siamo ancora ben lontani, e che infine crea punti di Pil e posti di lavoro con risorse interamente private, questo riconoscimento se lo meriti».

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