da Roma
Sei punti, essenziali, praticabili, pragmatici, perché non incidono sull'architettura complessiva del sistema normativo e permettono convergenze parlamentari. Gabriella Carlucci, responsabile del dipartimento Spettacolo di Forza Italia, presenta la sua «Proposta di legge sul cinema» e incassa subito pareri positivi: da produttori ed esercenti, da Medusa, Sky, Siae e Margherita. Posti in piedi, ieri mattina, nella saletta presso la Camera scelta per illustrare l'intervento normativo, definito dalla stessa Carlucci «light» e «soft». L'idea? Elaborare poche idee ma precise, per fornire il cinema italiano, in questo momento squillante anche sul fronte degli incassi, di nuove risorse. Tabelle e numeri alla mano, la deputata sintetizza così i sei punti: 1) introduzione del tax-shelter, che significa detassare le imprese in modo da favorire il reinvestimento degli utili; 2) riduzione dell'Iva sui prodotti editoriali audiovisivi; 3) stabilizzazione della quota cinema del Fus ad almeno il 25 per cento del totale (ora è scesa al 18); 4) allungamento reale della stagione cinematografica al periodo estivo; 5) distribuzione in sala dei cortometraggi, per favorire l'emergere dei nuovi talenti; 6) promozione della distribuzione cinematografica ad alta definizione.
Naturalmente è il tax-shelter il cuore della proposta. L'ex ministro Urbani tentò ripetutamente di proporlo al collega Tremonti, ma non se ne fece nulla. Oggi la situazione dei conti pubblici è cambiata, l'attivazione «del tax-shelter e di altri incentivi fiscali e tributari per incrementare l'afflusso dei capitali» pare possibile. La Carlucci quantifica in 200 milioni di euro all'anno le risorse che la misura libererebbe in questa prima fase (a patto, certo, che non si muti in evasione fiscale). Una notevole boccata di ossigeno, dunque, nella prospettiva di irrobustire un'industria ancora troppo dipendente dai soldi pubblici, vittima di logiche discrezionali, compressa dentro il «triopolio» Medusa-Raicinema-Sky.
La deputata di Forza Italia, raggiunta al tavolo dai colleghi Elio Vito e Sandro Bondi, offre un dato interessante: se da un lato il numero dei titoli prodotti cresce (anche grazie ai contributi statali), dall'altro cala l'investimento medio per film (5 milioni di euro in Francia, 2,2 in Italia). Ne discende la domanda: «Meglio realizzare più film tout court o avere il coraggio di farne meno ma con budget più adeguati agli standard europei?».
La Carlucci non ha dubbi, girare decine di film che nessuno andrà mai a vedere ha poco senso, però vallo a dire a Rifondazione o ai Ds, le cui proposte di legge, spesso ispirate dalle associazione degli autori, oscillano tra statalismo e protezionismo, tra intenti punitivi e antitrust capestro.
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