Quanto sta accadendo in queste ultime ore rafforza una convinzione paradossale: che cioè lunica vera opposizione al governo in carica è rappresentata non dal Pd (gravato dalle polemiche interne e da una fase precongressuale infinita) ma dallAssociazione nazionale magistrati.
Basta leggere le ultime dichiarazioni, infatti, del presidente dellAnm, dottor Palamara, il quale, proclamando di voler difendere la Costituzione a ogni costo e chiamando alla mobilitazione tutti gli iscritti in vista di una emergenza democratica, somiglia più che a un magistrato, al segretario di un partito oltranzista o di un sindacato barricadiero.
E infatti, quale sarebbe la temuta «emergenza democratica»? Semplicemente il fatto che il governo intende governare, vale a dire porre in essere il programma per il quale ha ricevuto ampio mandato dagli elettori.
Nellambito di tale programma, figura anche la riforma dellamministrazione della giustizia secondo alcune linee ben note da molto tempo e che sono state anche in parte accettate dal Pd: separazione delle carriere fra pubblici ministeri e giudici (e non certo sottoposizione dei primi al controllo dellesecutivo), riforma del Consiglio superiore della magistratura, maggiore indipendenza della polizia giudiziaria dagli uffici della Procura.
Sorprende insomma e preoccupa che i magistrati - per come rappresentati dalla loro associazione - imbastiscano una opposizione di stampo dichiaratamente politico e, per di più, senza volerne ammettere tutte le premesse e le conseguenze, che però sono facilmente individuabili.
Le premesse stanno nella nefanda aggregazione in correnti, che altro non sono se non lapprossimativa riproposizione, dentro il corpo giudiziario, delle vecchie ideologie politiche che hanno segnato la storia del Novecento europeo.
Ecco allora la riforma urgente e di tale rilevanza che, senza questa, tutte le altre, pur necessarie, restano insufficienti: abolire le correnti, vero cancro del sistema giudiziario, in forza del quale il 5 per cento dei magistrati italiani può condizionare, attraverso il Csm in cui esse fedelmente si rispecchiano, tutti gli altri.
Cè anche una ragione deontologica e giuridica che milita in tal senso: è evidente infatti che se un magistrato si autoetichetta come appartenente a una corrente (qualunque essa sia) non fa che manifestare in anticipo, rispetto alle controversie su cui dovrà giudicare, quale sarà il suo orientamento ideologico di fondo che ne guiderà loperato: e questa anticipata manifestazione è fra i motivi di ricusazione previsti dal codice.
Perché meravigliarsi allora se un italiano è ormai avvezzo a informarsi su quale sia la corrente di appartenenza del giudice che dovrà giudicarlo allo stesso modo con cui chiede di che partito sia il sindaco al quale ha chiesto unautorizzazione?
Poste queste premesse, ecco allora la conseguenza: progressiva perdita di credibilità e di legittimazione della magistratura nel suo complesso (benché non dei singoli magistrati che sappiano giorno per giorno conquistarsi e mantenere la fiducia di chi chiede giustizia, usando di prudenza ed equilibrio).
E perché mai e come potrebbe la magistratura conservare la sua legittimazione, se lassociazione che ne è lespressione si comporta come un partito politico di opposizione? Se infatti lAnm si riveste della toga del tribuno politico di sua volontà, nessuno si dovrà poi sorprendere se le critiche che le saranno mosse saranno anche di taglio politico.
Infine, preoccupa molto - perché denota un pericoloso dogmatismo di sapore idolatrico - il culto maniacale per la intangibilità della Carta costituzionale: per chi si professa laico a ogni occasione, non cè male! Per il vero laico (che, detto fra parentesi, è il vero cristiano) nulla di ciò che è prodotto dagli uomini in questo mondo è sottratto in linea di principio a critica o a riforma: la Costituzione è importante, ma non è Dio sulla terra.
Quando i nuovi idolatri lo ammetteranno?
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