Proust è lanagramma di «stupro». È forse per un destino scritto nelle lettere del suo cognome trasposte in una lingua da lui amata, che lautore della Recherche debba essere sessualmente radiografato e violentato, dagli storici. Se lo sapesse, magari lo ecciterebbe. Perché una vena di masochismo, lui, laveva eccome. Lorecchio attento la coglie, in filigrana, nella sua opera. E quello meno scafato la trova spiegata in un libro che ne esplora i lati più intimi e inquietanti: Proust in love, di William C. Carter (Castelvecchi, pagg. 298, euro 18, traduzione di Sara Marchegiani).
Dagli anni del liceo Condorcet, con le acerbe infatuazioni per i compagni Daniel Halévy e Robert Dreyfus, fino agli ultimi mesi di vita, passati a scrivere e rimuginare, «traducendo» in personaggi femminili i tratti distintivi degli altri uomini per i quali di volta in volta perse la testa (Reynaldo Hahn, Lucien Daudet, Bertrand de Fénelon, Alfred Agostinelli, Albert Nahmias, Marcel Plantevignes, Ernest Forssgren, Henri Rochat e un tale Vanelli, oltre a vari fanciulli in fiore mai colti e soltanto sfiorati e annusati...), Proust viene rivoltato come un calzino, attingendo soprattutto alla sua magmatica corrispondenza e a quanto scrissero in tema gli esperti del ramo Paul Morand, André Gide e Jean Cocteau.
Come in un casino dei tempi che furono, ogni episodio ci si presenta ammiccando alla maniera delle «professioniste». Cè laneddoto-cocotte ironico del duello con un giornalista, Jean Lorrain, clamorosa checca esibizionista che aveva sputtanato Marcel in un articolo: lepico scontro dura lo spazio di qualche secondo, il tempo necessario ai due per sparare più o meno alla cieca senza ovviamente colpire il bersaglio, con i gridolini dei testimoni a far da colonna sonora... Cè quello sdolcinato e romantico dei due super regali fatti ad Agostinelli: una Rolls-Royce e un aeroplano, che contribuiscono a dissestare le finanze di Marcel, già piuttosto claudicanti. Cè poi quello che ti fa provare il brivido dellimprevisto, come il brutto quarto dora passato nella notte fra 11 e 12 gennaio 1918 quando, in una retata al bordello di Rue de lArcade gestito dal viscido Albert Le Cuziat finiscono alcuni pesci grossi, e con loro il terrorizzato pesciolino «Proust, Marcel, 45 anni, benestante, 120 (in realtà, 102, ndr), Boulevard Haussmann», come recita il verbale di polizia. Cè persino quello mondano e internazionale del fugace (e formalissimo) incontro con Oscar Wilde di passaggio a Parigi.
Cè anche un aneddoto che ha laspetto della più lurida fra le battone e che suscita schifo (e un po di pena). Quando non riusciva a... concludere con il giovanotto di turno, il Nostro ripiegava su un combattimento di topi affamati, tenuti in apposite gabbiette dal titolare della casa dappuntamenti. Le bestiole, dilaniandosi a morsi, mettevano fine alla degradante nottata. Per non parlare del peggiore di tutti, il più subdolo e orrendo, quello che oltraggia laffetto più caro. Si ricorderà, nella Recherche, loffesa alla memoria del compositore Vinteuil da parte di sua figlia, che si dedica a pratiche saffiche con unamica proprio davanti alla fotografia del padre. Ebbene, secondo Cocteau, Proust a volte teneva davanti a sé limmagine delladorata madre, quando guardava le lotte fra i topi.
LAndrea Sperelli di dAnnunzio voleva «fare della propria vita unopera darte». Proust, ancor più esteta del protagonista de Il piacere, attua il proposito inverso: fare della propria arte il senso della propria vita. E queste macchie grottesche, questi tagli assurdi, questi buchi volgari che Carter ci indica nella sua tela, se suscitano nel lettore ovvi moti dinsofferenza, non riescono a rovinare la visione complessiva di un mondo in cui tutto si tiene grazie alla forza dellamore, quale che sia.
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