Le «prove» che Di Pietro esige dal Cavaliere

Ho letto sul Giornale che la smentita di Berlusconi sulla scalata al Corriere non è stata digerita dalla sinistra, ma il più riluttante è stato Di Pietro che ha chiesto «le prove».
Noi che la seguiamo sul Giornale conosciamo l’amicizia profonda che lega lei a Di Pietro e la stima umana, professionale e politica che gli riserva, per cui appare doveroso fare capo a lei perché arrivi bonariamente un chiarimento.
Vige un principio giuridico, in verità un trascurabile dettaglio che in questi 10 anni è stato largamente trascurato in qualche procura, che le prove devono essere portate da chi accusa.
Unisca ai suoi saluti anche i miei al signor Di Pietro.

Di Pietro è quello che è, caro Farella, un amabile ex poliziotto ed ex magistrato. Avendo nel sangue i globuli dell'una e dell'altra professione, è abituato ai modi spicci. Per lui non c'è grossa differenza fra un «favorisca i documenti» e un «favorisca le prove». Le prove, poi... chissà quali potrebbero essere. In italiano prova significa «testimonianza, documento, elemento che dimostra l'autenticità di un fatto o la veridicità di una affermazione». Se uno si mette in testa di occultamente scalare qualcosa, mettiamo pure il Corriere, documenti in giro non ne lascia. In quanto alle testimonianze, lasci che glie lo dica, caro Farella: Tonino Di Pietro non è uno che s'accontenta delle dichiarazioni della a me grandemente simpatica Brigata Ricucci.
Cosa rimane? Rimane l'«elemento» e a quello l'animoso capo del partito «l'Italia dei valori (bollati?)» evidentemente si riferiva intendendo egli, io presumo, i traslati nel loro significato letterale. Non c'è altra spiegazione, essendo impresa ardua se non proprio impossibile produrre elementi di prova i quali attestino che non si ha in animo di fare una certa cosa. E allora, a cosa si riferiva Tonino? Si riferiva a ciò che necessita per effettuare una scalata: piccozza, scarponi, una semplice scala a pioli, cose così. C'è di più: come lei giustamente osserva, caro Farella, Di Pietro strapazza un tantinello la procedura pretendendo che sia Berlusconi a esibire le prove della propria innocenza e non, come richiede il codice, l'inverso. In sostanza il Cavaliere dovrebbe dimostrare, con l'ausilio di audiovisivi autenticati dal notaio, di non celare in cantina o in altri reconditi luoghi gli arnesi atti alle arrampicate. Basta un rampino, un chiodo da roccia, una biscaglina e siccome due più due fa quattro, per dirla sotto metafora zacchete, scattano le manette. Il cui suono - lo scalfariano «tintinnio» - è musica per le orecchie di tanta brava gente, tanti bravi magistrati molti dei quali, in servizio o in aspettativa, hanno anche la querela facile per cui conviene finirla qui, con molti cari saluti ad Antonio Di Pietro.
Paolo Granzotto

Ps: hai visto mai che occupato com'è a forgiare l'Italia «dei valori» a Tonino è sfuggita la IX sura del Corano? Per non saper né leggere né scrivere (altra metafora, ma vallo a spiegare a chi so io), la ripropongo: «Annuncia a coloro che non credono un doloroso castigo.

Quando siano trascorsi i mesi sacri, uccidete questi associatori, ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati».

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