Cronache

La Provincia che cancella la storia vuol fare di tutta l’arte un «fascio»

La Provincia che cancella la storia vuol fare di tutta l’arte un «fascio»

Un consiglio comunale perché il contestatissimo fascio littorio resti nella sala consiliare di Beverino in Val di Vara e un ordine del giorno, votato dalla sola maggioranza, che respinge il diktat della Provincia spezzina a rimuoverlo o coprirlo. Storie e Storia, quella della memoria, quella cui s'appella il sindaco Pdl Andrea Costa citando Primo Levi e calando l'asso-Gramsci, sulle cui ceneri si consumano fior di contraddizioni. Costa motiva essenza ed esistenza di quel fascio del '39, ricordando che «i prodromi del periodo fascista hanno visto proprio la distruzione della storia con la cancellazione dei simboli degli oppositori». Poi legge la comunicazione del Presidente Fiasella che lo invita a rimuoverlo o coprirlo: «Un comunicato che ha il sapore di un proclama di quell'epoca in cui l'Italia ha vissuto l'oscurantismo del libero pensiero-stigmatizza-Mentre il Comitato Unitario della Resistenza ha espresso la necessità di mantenere quella testimonianza accordandosi col Comune per l'apposizione di una targa che ne sottolinei il valore storico».
È la sublimazione del paradosso. Il caso scoppia a luglio 2009 quando la sinistra insorge contro quel simbolo fascista conservato sotto vetro, dopo il restauro dello storico palazzo, proprio nell'aula-simbolo della democrazia. Costa si difende: «Non abbiamo voluto né valorizzare né recuperare, ma rispettare quanto esisteva». A gennaio 2010 la Soprintendenza avvalla: «Considerato che le opere sembrano risultare compatibili con le esigenze di tutela monumentale dell'edificio in oggetto, si autorizza il mantenimento». Il Comitato della Resistenza si dichiara sì d'accordo sul mantenere il mosaico del fascio, ma chiede una lapide a memento e monito; e per tutta risposta il consiglio provinciale cosa fa? Approva un ordine del giorno con cui invita il presidente ad intervenire sul Comune di Beverino per la rimozione o la copertura del mosaico.
E lui interviene il 13 novembre chiedendo di «provvedere adeguatamente». Tant'è che Costa sbotta: «Roba da matti! La vera questione è storica, il resto è solo una strumentalizzazione politica». Punto dolens quel fascio che la ristrutturazione ha salvato dal degrado mettendolo sotto vetro. Troppo per certi sinistri. L'altro ieri il consiglio, con Costa accusato di apologia del fascismo: «Non scherziamo - rintuzza lui - Il simbolo entra in contrasto con le disposizioni di legge solo nel caso di riproduzione e uso quale simbolo politico. Questo fregio è lì dal 1939 ed è legittimo che lì continui a stare».
Poi l'affondo al diktat della Provincia: «Ingerenza non certo democratica oltre che illegittima». Il fascio resta, alla faccia di «questa pervicacia demolitrice che, pur di colpire, non esita a far uso di un potere che si arroga ripetendo gli stessi errori del passato».

Giù il sipario, oltre l'ideologia, anche se «la storia insegna, ma non ha scolari».

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