Nonostante i 90 chili di peso e il metro e 95 di altezza, Gianmarco Mazzi, direttore artistico del Festival di Sanremo, passa agevolmente di sbieco anche attraverso la porta del suo ufficio di Verona, che a dispetto del nome della società, Arena Extra, misura appena 38 centimetri, aumentabili a 76, comunque sempre meno della larghezza delle sue spalle, solo aprendo l’altro battente. Uno specialista in spiragli. Il primo glielo dischiuse Mogol e lui tenne a battesimo la Nazionale dei cantanti. Il secondo Caterina Caselli e lui le organizzò la selezione di nuovi talenti alla quale si presentarono Luciano Ligabue, Francesco Baccini, Marco Masini e Paolo Vallesi. Il terzo Adriano Celentano e Claudia Mori e lui divenne uno del Clan, quasi un figlio adottivo per «la coppia più bella del mondo». Il quarto Flavio Cattaneo, direttore generale della Rai, e lui prese in mano le redini del Festival della canzone italiana. Il quinto Riccardo Cocciante e lui si trasformò in coproduttore dell’opera Giulietta e Romeo.
Nato nel 1960, Mazzi intravide la prima porta socchiusa a 19 anni, sulle pagine della Gazzetta dello Sport: Italo Allodi, responsabile del centro tecnico di Coverciano, organizzava un concorso per manager di società calcistiche. Per essere ammessi bisognava rispondere a una serie di domande. Scritte. Dopo qualche settimana gli telefonò Allodi in persona: «Le sue risposte mi incuriosiscono, ma lei è troppo giovane». Il giorno seguente Mazzi era a Coverciano, di nascosto dal padre medico, che lo sognava notaio. Vedendo nei corridoi un giovanotto con la zazzera, Allodi andò a colpo sicuro: «Tu sei Mazzi? E ti presenti con i capelli conciati in quel modo? Torna alle 15». Erano le 13. Rosso di vergogna, il veronese uscì e prese a girare come un guindolo in cerca di un negozio di parrucchiere che fosse aperto. Finché un barista, impietosito, non gli indicò un barbiere che abitava sopra la bottega. Mazzi suonò il campanello e spiegò il suo caso disperato. Il figaro lasciò a metà la ribollita e se lo portò giù di sotto. Alle 15 in punto l’ex capellone era nuovamente al cospetto di Allodi con un taglio alla Richard Gere in Ufficiale e gentiluomo. Fu associato al corso come uditore, per via dello scoglio anagrafico. Quando il figlio di Corrado Ferlaino, presidente del Napoli, gettò la spugna e si ritirò, il posto di aspirante manager toccò a lui. Quella stessa estate Mazzi fu spedito prima a Londra, per uno stage presso Tottenham e Arsenal, e poi a Glasgow, a studiare com’erano organizzati Celtic e Rangers. E quando Giulio Rapetti Mogol, l’autore di Lucio Battisti, parlò ad Allodi del suo sogno, la Nazionale dei cantanti, il direttore di Coverciano non ebbe dubbi su chi indicargli per il coordinamento.
Dei due Mazzi - nessuna parentela - che Verona ha dato alla storia patria, questo è quello serio. Antonio, il prete, di preferenza officerebbe a Domenica in. Gianmarco, invece, nei giorni festivi va a messa nella chiesa di San Pietro Apostolo e fa la comunione. «Non dovrei», si colpevolizza, perché da 21 anni vive more uxorio con una cancelliera del tribunale. Spiega d’essere rimasto vittima della sindrome di Peter Pan. Ma poi si assolve: «Mi considero un bravo marito». È talmente devoto che l’8 dicembre festeggerà l’Immacolata a modo suo: con un concerto di Laura Pausini e Tiziano Ferro in onda da Verona in prima serata su Raidue. Per l’ambientazione ha scelto il teatro Camploy, ricavato da una chiesa sconsacrata che in passato è stata un asilo notturno per barboni. Comunque è intenzionato a portare presto all’altare l’eterna fidanzata, per la gioia della madre Anna Maria, 84 anni. Prima però, dal 16 al 20 febbraio, viene il Festival di Sanremo.
Quanti ne ha diretti?
«Vediamo... 2004, 2005, 2006, 2009. Questo è il quinto».
In che modo c’è arrivato?
«Il direttore generale della Rai mi chiese di sondare la disponibilità o di Celentano o di Morandi per la direzione artistica del festival. “Sì, ma solo se posso distruggerlo”, rispose Adriano. “Sì, ma solo se c’è Celentano”, replicò Gianni. Alla fine il tempo stringeva e Cattaneo mi disse: “Se ne occupi lei”».
Come le è venuto in mente di ammettere il dialetto nel tempio della canzone italiana?
«Fin dal 2005 avevo notato nel regolamento una clausola assurda, che contrapponeva inutilmente l’italiano alle lingue dialettali. Perciò ho riscritto l’articolo 6, stabilendo che “si considerano appartenenti alla lingua italiana, quali espressioni di cultura popolare, canzoni in lingua dialettale italiana”. Che c’è di strano? Quando Roberto Benigni recita La Divina Commedia, spiega che nel XXXIII canto dell’Inferno dantesco sono presenti il toscano, il patavino e il ligure, cioè i dialetti che hanno fatto l’italiano, e nessuno si scandalizza, anzi. Non è che a Sanremo arriveranno i cantastorie di paese. Col vecchio regolamento, Crêuza de mä di Fabrizio De André, a giudizio dei critici il più bell’album di musica italiana degli Anni 80, sarebbe stato escluso».
La sua decisione ha spaccato la maggioranza di centrodestra che guida il Comune ligure. «Come mischiare la lana con la seta», s’è scandalizzato Paolo Pippione, capogruppo del Pdl.
«È una montatura esagerata».
Avete già ricevuto proposte di brani in dialetto?
«So che Giorgio Calabrese e Gian Piero Reverberi stanno lavorando a una canzone in genovese per un artista genovese. Vorrei ricordare che Calabrese ha scritto E se domani per Mina e che il maestro Reverberi ha lavorato con Luigi Tenco, Lucio Battisti, Gino Paoli, Ornella Vanoni, Lucio Dalla, Patty Pravo, Sergio Endrigo e i New Trolls».
«Sarebbe bellissimo se Sanremo aprisse le porte anche a cantanti italiani di origine musulmana», s’è subito inserito Elzir Ezzedine, portavoce dell’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche.
«L’obbligo di cittadinanza italiana degli interpreti l’ho cancellato nel 2004 e nessuno se n’è accorto. Da quest’anno l’ho abolito anche per gli autori e i compositori. Il protezionismo non ha senso. La musica è un linguaggio universale. Se un giapponese che ha studiato l’italiano vuole presentare una canzone nella nostra lingua, ce la mandi».
Lei ha già annunciato che incontrerà Vladimir Luxuria, l’ex onorevole dell’Isola dei famosi.
«Mi è giunta voce da un manager dell’ambiente che vorrebbe presentare un brano in accoppiata con Dario Gay».
Mi prende in giro?
«È un bravo cantante che ha collaborato con Enrico Ruggeri. Noi ascoltiamo tutto».
Di questo passo arriverà Natalì.
«Sanremo accende il desiderio di molti, ma la nostra preferenza va a chi di professione fa il cantante. Per il concorso Nuova generazione vige solo il limite di età: dai 14 ai 39 anni. Poi la commissione ne sceglierà sei».
Parliamo della conduttrice. Perché la scelta è caduta su Antonella Clerici? Non va bene per La prova del cuoco, dove l’hanno rimpiazzata con la giovane Elisa Isoardi, ma per Sanremo sì. Cos’è? Gallina vecchia fa buon brodo?
«Era giusto che l’edizione dei 60 anni fosse affidata a una donna. Antonella è la migliore conduttrice possibile, un concentrato di simpatia e talento. È dotata di sex appeal e conosce il palco del teatro Ariston meglio di chiunque altra».
Ma se la Clerici non fosse stata disponibile, lei chi avrebbe scelto?
«Paolo Bonolis. Lo considero un parente. Del resto è stato lui a volermi come direttore artistico all’ultimo Sanremo».
Bonolis fa parte della scuderia dell’agente Lucio Presta. Antonella Clerici idem. Roberto Benigni, pagato 350.000 euro per un’apparizione all’Ariston, pure. Strano che lei non sia un Presta man.
«Non mi risulta quel cachet per Benigni. Io sono della scuderia Mazzi, appartengo a me stesso. Anche se Presta è, fra tutti, il manager più attento a proteggere l’immagine artistica di coloro che si affidano a lui. Non bada solo ai compensi. Questo sono pronto a sottoscriverlo col sangue».
Quanti chili perde al festival?
«Sette prima e tre durante le serate. Meglio così, visto che sto seduto in prima fila. L’occhio della Tv è tremendo: ti aumenta il peso di un 20%».
In formato 16:9 di un 50.
«Esatto. Io mi vedo sempre grosso. Però appena finito Sanremo mi riprendo subito a Verona con bolliti, pearà e Amarone».
Di notte dorme durante il festival?
«Dalle 3 alle 8. Per sfinimento».
Al risveglio chi le porta i risultati dell’Auditel?
«Mi telefona il capostruttura della Rai. Lo so bene che tutto è misurato sugli ascolti, ma io seguo solo l’Auditel della coscienza: quando ho fatto bene il mio lavoro, sto tranquillo. Se poi superiamo il 40%, com’è avvenuto quest’anno, tanto meglio».
Quale ritiene che sia lo share minimo per non fare la fine di Luigi Tenco?
«Non c’è share al mondo che giustifichi la fine di Tenco».
Riuscirebbe a riportare in Rai, anche per una sola serata, Mina?
«Impossibile. Ho lavorato per il disco Mina Celentano e so che ha fatto una scelta di vita: non vuole apparire mai più. Le scelte di vita vanno rispettate».
Ma se ha girato gli spot Barilla, scusi.
«Solo con la voce».
Da quante raccomandazioni è tempestato in questo periodo?
«Segnalazioni. Circa 50 al giorno. Rispondo a tutti. Mai ricevuto proposte indecenti».
Come fa un giovane di provincia dotato di bella voce a farsi scegliere?
«La bella voce non basta. Occorre personalità artistica. Chi ritiene d’averla compili la domanda sul sito www.sanremo.rai.it. Povia era un giovane di provincia. I Negramaro pure. Non c’è un solo grande artista che non sia stato un provinciale. Vasco Rossi è modenese di Zocca. Laura Pausini è di Solarolo, in Romagna. Zucchero è cresciuto tra Roncocesi, Reggio Emilia, e Avenza, Massa Carrara».
S’è fatto tanti nemici con Sanremo.
«Tutti quelli che non arrivano sul palco sono nemici. A parte gli intelligenti che capiscono».
Cominciamo da Pippo Baudo.
«Ma quando mai? Per me è un amico».
Al Bano rivelò che lei avrebbe voluto imporgli un duetto con l’ex moglie Romina Power. Lui rifiutò e fu escluso.
«Non andò così. Ne parlammo al bar dell’Hilton di Roma e lui non disdegnò l’ipotesi. “Posso provarci”, mi rispose».
Annalisa Minetti accusò lei e il presentatore Giorgio Panariello d’averla bocciata in quanto non vedente.
«Non merita nemmeno risposta. E sono sicuro che Giorgio, uomo perbene, concorda».
Inviperite pure Loredana Bertè e Ivana Spagna, rifiutate all’ultimo festival perché over 50. In compenso ha ammesso Patty Pravo, 60 anni, e Iva Zanicchi, 69.
«Se fa l’elenco, non le basta tutto il giornale».
Baccini ha stilato un certificato di morte: «Mazzi è stato il mio manager per dieci anni. E posso affermare con certezza che non capisce nulla di musica».
«Ma va’? E ci ha messo dieci anni a scoprirlo?».
Mario Luzzato Fegiz, critico del Corriere della Sera, ha scritto di lei: «Sceglie cantanti e canzoni senza un’ora di conservatorio alle spalle».
«Vero. Scelgo le canzoni per la gente, non per gli accademici. D’altronde José Mourinho e Arrigo Sacchi non hanno mai giocato a calcio prima di fare gli allenatori».
Umberto Tozzi è dello stesso parere: «Quando si sceglie un avvocato come direttore artistico di Sanremo, dove volete che vada la musica italiana?».
«Sono dottore in legge, non avvocato, e sicuramente non finirà in tribunale». (Ride).
Luzzato Fegiz sostiene che i suoi predecessori, da Gianni Ravera a Ezio Radaelli, da Adriano Aragozzini a Vittorio Salvetti, pur essendo legati ai partiti, alla Dc in particolare, miravano a far vendere dischi e a far lievitare gli ascolti. Come dire: Mazzi invece pensa solo ai politici.
«Mai avuto padrini e mai votato per la Dc».
La danno in quota ad Alleanza nazionale.
«Ma An non s’è sciolta nel Pdl? Dopo la vicenda del dialetto ora mi danno in quota alla Lega».
Il Secolo d’Italia l’ha applaudita per aver ripristinato la par condicio della canzonetta. Titolo: «Sanremo, il Festival senza tessera. È finito il monopolio delle sinistre».
«Che il mondo dello spettacolo, e dell’arte in generale, storicamente sia orientato a sinistra non c’è bisogno di leggerlo sul Secolo d’Italia. Io ci vivo bene eppure non sono mai stato di sinistra. Le felici eccezioni sono possibili».
Perché non ha un sito?
«Non sono neanche su Facebook, se è per quello. Invidio chi ha tempo per mettersi in vetrina. L’unico motivo per cui le ho concesso questa intervista è che lei è veronese come me. Voglio provare a fidarmi».
Per quale motivo continua a vivere a Verona? Chi si occupa di star system e lavora per la Rai di solito trasloca a Roma.
«“Non c’è mondo per me, Frate Lorenzo, aldilà delle mura di Verona: c’è solo purgatorio, c’è tortura, lo stesso inferno; bandito da qui, è come fossi bandito dal mondo; e l’esilio dal mondo vuol dir morte”. Romeo in Romeo and Juliet di William Shakespeare, atto terzo, scena terza».
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