Cronache

Il pubblico non chiede il bis al bis di opere del Carlo Felice

Il pubblico non chiede il bis al bis di opere del Carlo Felice

Il letto di Buoso Donati potrebbe essere un «Brimnes», con tanto di baldacchino bianco, perfettamente coordinato con cassapanca Leksvik e sgabelli Oddvar. E il bello è che ci sta benissimo, anche in un salotto della antica nobiltà fiorentina. In epoca medievale, per di più. Ikea, «Crea il tuo spazio»! anche sul palcoscenico del Carlo Felice. «Il Campanello» di Donizetti e «Gianni Schicchi» di Puccini in scena venerdì sera - spiace dirlo, ma a platea semi vuota - era un catalogo aperto della ormai più che nota azienda svedese. In primis con la serie di scaffalature personalizzabili, che fa parte dell'arredamento di un buon settanta per cento di case italiane. E lo diciamo divertiti. La scelta di una scenografia così semplice (Enrico Musenich) è uno dei, pochi ahimè, punti forti di uno spettacolo che ha gravi carenze sotto il profilo dell'esecuzione.
Grandissimi e sentiti applausi a Rolando Panerai, lui sì splendido, che alla bella età di ottantasette anni riesce ancora a prendere la scena tutta per sé, imponendo una personalità travolgente, con una resa scenica davvero fuori dal comune: ironico, dirompente mattatore, è l'abile tessitore dell'ordito, l'arguto marionettista che muove i fili di chi lo circonda, il fulcro di ogni movimento e di ogni sguardo, tutto ruota intorno a lui, sempre e comunque. Non solo come personaggio dell'opera. E già che ci siamo, lodiamo anche la sua regia, frizzante, intelligente, inappuntabile, fatta da chi - è palese - il teatro lo conosce, lo respira, lo vive; da chi il palcoscenico lo ha calcato una vita intera. Non a caso, dei due atti unici rappresentati, quello pucciniano - il Gianni Schicchi - ha avuto senza ombra di dubbio il successo maggiore tra il pubblico, che all'intervallo è parso tiepido e poco entusiasta. E che, per fortuna, è stato catturato poi dal carisma di Panerai, che ci ha messo una (signora) pezza. Con l'aiuto dei costumi (Vivien A. Hewitt) di ottimo gusto e fattura, con un attento gioco cromatico riferito a scena e personaggi. Esecuzione musicale nel complesso assai carente - specie ne «il Campanello», in cui a fatica si comprendevano addirittura le parole - sia dal punto di vista del dialogo buca/palcoscenico (direzione Valerio Galli) sia sotto il profilo tecnico e vocale dei protagonisti, con un cast, ci dispiace dirlo, immaturo e a volte poco musicale, nonostante le voci interessanti e le buone intenzioni sceniche. Fa eccezione Sophie Gordeladze (Lauretta) che ha cantato con gusto, bella voce e delicata musicalità. Ci auguriamo e crediamo in un progressivo miglioramento nelle prossime recite - anche accantonando il panico da palcoscenico - nonché un'affluenza di pubblico più consistente.

Magari abbassando il prezzo del biglietto.

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