Provate a immaginare una società che improvvisamente licenzia i suoi dipendenti con contratto a tempo indeterminato e subito dopo ne crea una nuova, riassumendo due terzi dei vecchi dipendenti con contratti da precari e, naturalmente, una notevole diminuzione degli stipendi. Il sospetto di una furbata sarebbe più che legittimo e la Cgil sarebbe la prima a indignarsi promettendo fuoco e fiamme.
Il caso non è ipotetico, ma reale; eppure il sindacato è rimasto tranquillo, muto, immobile. Niente strepiti, niente proteste. Per una ragione semplice e sorprendente: quel datore di lavoro è la stessa Cgil.
La vicenda si svolge in Puglia, e finora è stata ignorata dalla stampa, anche locale, nonostante una coda di denunce e controdenunce, dalle quali emerge lo spaccato di un sindacato che al proprio interno pare concedersi qualche licenza, perlomeno in alcune sedi; dopo il caso della dipendente di Castrovillari, in Calabria, che ha lavorato per anni in nero, sottopagata e infine allontanata, rivelato da Antonio Signorini su queste colonne due giorni fa.
Innanzitutto i fatti. Nel 1994 la Cgil di Lecce, assieme ad altre categorie sindacali, fonda una società di servizi, la Progresso Service, che offre assistenza fiscale a dipendenti, pensionati e piccole imprese. Dal 1996 la presidenza è affidata a un sindacalista, Pinuccio Giuri. Le cose vanno bene, il fatturato cresce e i bilanci chiudono in pareggio o in lieve attivo. Nel 2004 la Cgil inizia a interessarsi da vicino alla Progresso. Cambiano gli assetti al vertice, emergono contrasti, liti. Giuri offre le dimissioni, che vengono respinte.
Le polemiche rientrano, la Cgil fa sentire sempre di più il proprio peso e i costi continuano a salire. Il 2004 e il 2005 chiudono con perdite di bilancio intorno ai 15mila euro, comunque minime rispetto a fatturati superiori ai 650mila euro. Il 2006 e il 2007 terminano in attivo, sebbene, esaminando i bilanci, emergano costi non proprio congruenti, come i 5mila euro per le brochure e i 3840 euro per 192 coperti al ristorante del Grand hotel Tiziano, in occasione del 15° Congresso Cgil.
Si arriva così al 2008. Il fatturato supera il milione di euro, ma tornano anche le cifre rosse, per 85mila euro. Cifra importante, ma coperta dalle riserve. È prematuro considerare un fallimento, visto che il buco può essere agevolmente ripianato. Eppure per la Cgil quel rosso è inaccettabile. Ed è qui che la vicenda si intorbidisce; perché anziché procedere a un risanamento i dirigenti del sindacato decidono la messa in liquidazione volontaria. Fioccano contestazioni pesanti nei confronti dello stesso Giuri, accusato di essersi appropriato indebitamente di 25 e di 15mila euro. L’ex presidente presenta una querela in tribunale, nella quale ammette il prelievo delle cifre, ma dimostra che contestualmente aveva disposto un prelievo rateale sul proprio conto per ripianare il debito.
Nella denuncia scrive che «il trasferimento di quelle somme di denaro sul mio conto assecondava una prassi da sempre diffusa in Cgil, in base alla quale i dirigenti del sindacato o di strutture ad esso collegate, possono prendere in prestito del denaro per l’acquisto di beni strumentali quali l’automobile (come nel mio caso)».
Capito? Se sei dirigente della Cgil puoi servirti in cassa, a quanto afferma Giuri. Niente prestiti, né leasing, né mutui; prelievi e via. Chissà se pagando qualche interesse o a tasso zero. Semplice, no?
L’8 ottobre 2009 la Progresso Service cessa di esistere e il liquidatore è costretto a procedere al «licenziamento collettivo dei 27 dipendenti, ad eccezione di uno per il disbrigo delle pratiche». Sulla strada, senza poter ricorrere alla Cig e, in fondo, senza un valido perché. I soci hanno deciso così. E tanto basta.
Sì, sulla strada. Anzi, no. Perché nel novembre del 2009 nasce la LecceLavoro srl, che, guarda caso, è fondata dalla Cgil, trova sede negli stessi uffici della Progresso, usa la sua stessa strumentazione informatica, mantiene persino gli stessi numeri di telefono. D’altronde perché cambiarli? È tutto uguale, tranne che per i 27 licenziati, a cui pare non siano state nemmeno pagate le spettanze di fine lavoro.
A venti di loro vengono proposti contratti a tempo determinato, fino al 30 settembre 2010, con una decurtazione dello stipendio del 35-40% e a orario ridotto.
Un esempio di cristallina coerenza per un sindacato che nel sito di LecceLavoro promette di «lavorare alacremente» per offrire a tutti gli iscritti «oltre alla certezza di una forte tutela collettiva», anche «la tutela individuale attraverso l’attività dei nostri servizi».
Che forza, la Cgil in Puglia...
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