"Quel putto è di Donatello". Il ministero lo compri coi soldi sequestrati alla mafia

La scultura in legno dorato apparteneva a un collezionista torinese. Poi è stata comprata da un americano, che l'ha attribuita all'artista

"Quel putto è di Donatello". Il ministero lo compri coi soldi sequestrati alla mafia

Un putto in legno dorato. Paffuto e serafico, nella sua nudità, si appoggia sul piede destro come dopo un saltello o un breve voletto. Quasi sorride sotto il tipico copricapo quattrocentesco che ha calcato sulla cascata di riccioli che gli cinge il capo. Non è una statua imponente, con le sue alucce monconi, ma potrebbe essere un tassello importante della storia dell'arte. Potrebbe essere una delle non moltissime opere lignee di Donatello superstiti.

È stato per anni, anonimo, nella collezione che fu dell'antiquario torinese Giancarlo Gallino, scomparso nel 2011 a 71 anni.

Ora la stupefacente attribuzione è stata avanzata dallo specialista statunitense Andrew Butterfield. Butterfield - che dagli anni Novanta lavora nel mercato dell'arte concentrandosi sulla scoperta e sull'autenticazione di sculture moderne - ha comprato l'opera nel 2012 dagli eredi di Gallino (per un prezzo che non vuole precisare). Poi l'ha studiata attentamente fino a ipotizzare che, nella piccola statua che raffigura un cherubino tondotto, ci sia la mano di Donatello. L'avrebbe scolpita attorno al 1430. Lo scopritore ha raccontato ieri i dettagli dello studio sul New York Times , informando che il capolavoro ritrovato (e sicuramente da studiare per una autenticazione certa) sarà per la prima volta in mostra in pubblico dal 30 ottobre nella galleria Moretti Fine Art di New York, di proprietà dell'antiquario fiorentino Fabrizio Moretti.

«Potrebbe valere diversi milioni di dollari», ha precisato il New York Times , che comunque fa sapere che la scultura (che in passato era stata anche nella collezione di un antiquario toscano) non è per ora in vendita, sperando che un giorno possa essere accolta in un museo. Intanto gli esperti aspettano di poter vedere da vicino l'opera, ma c'è già chi sostiene che l'attribuzione ha buone ragioni d'essere. Come Eike Schmidt, l'esperto tedesco di arte fiorentina che è stato recentemente nominato direttore della Galleria degli Uffizi di Firenze, che al New York Times ha detto: «Direi che si tratta di un caso estremamente solido» di attribuzione a Donatello. Schmidt ha aggiunto che ritiene che ci siano «ben pochi margini di manovra» per altre attribuzioni. Della stessa idea anche il critico d'arte Francesco Caglioti, professore di storia dell'arte moderna all'Università di Napoli e citato dal New York Times come sostenitore dell'attribuzione. «Io credo che si possa attribuire a Donatello non solo l'invenzione e il disegno, ma anche l'esecuzione nella sua bottega per un progetto decorativo». E l'interessante è che esiste anche un altro putto molto simile al museo di Belle arti di Boston. Negli anni '60 gli allora curatori l'avevano diversamente attribuito. E Caglioti (come Butterfield) rimetterebbe in discussione anche quella attribuzione: la statua di Boston sarebbe «gemella» del putto ritrovato, farebbero parte dello stesso progetto.

Limitandosi alla statua di proprietà di Andrew Butterfield anche Vittorio Sgarbi si è detto possibilista. Parlando con il Giornale : «Ritengo si tratti di una attribuzione plausibile, anche se richiede tutti gli accertamenti del caso». Ma per il critico non basta attribuire, bisogna anche agire: «Vorrei che gli attori italiani della vicenda come Caglioti, che sostiene l'attribuzione, e Fabrizio Moretti, che è un gallerista stimato, intervengano presso il ministero dei Beni culturali italiano perché insistano per una valutazione ed una eventuale offerta d'acquisto». Sgarbi non ha nemmeno dubbi su dove si possano reperire i fondi: «Quanto può costare? Quindici milioni di euro? Usiamo i soldi sequestrati alla mafia. Ho anche lo slogan: meglio un Donatello che un mafioso. Potremmo definirlo un riciclaggio di denaro positivo». E ancora: «Spendiamo soldi per avere dei direttori di museo presi dall'estero, usiamoli anche per riportarci a casa certe opere, non comportiamoci alla solita maniera.

A Castel Sant'Angelo c'è una mostra, finisce a giorni e si intitola: Lo Stato dell'Arte: l'Arte dello Stato. È fatta con le acquisizioni del Mibac. I ndica una via che va percorsa. Se del caso anche con opere come questa».

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