Senta, gentile Paolo Ruffini, direttore di Raitre, posso capire che lei non sia molto contento di doversi schiodare - dopodomani, pare, quando si riunirà il consiglio d’amministrazione di viale Mazzini - dalla poltrona su cui sta comodamente acculato da quasi otto anni. E comprendo anche la sua delusione per il fatto che a darle la spintarella decisiva sia quel Pierluigi Bersani, neoeletto segretario del Partito democratico al posto di Dario Franceschini, lo sponsor che l’aveva protetta negli ultimi tempi. Però non deve prenderci per fessi.
Gli argomenti della sua autodifesa, esposti in un’intervista concessa a Repubblica, sono pregni di un vittimismo puerile. Lei, in buona sostanza, afferma: dirigo l’unica rete della Rai che in questi anni non ha perso ascolti, porto a casa «pubblicità pregiata su programmi di qualità», nessuno mi ha contestato i risultati, ergo perché dovrei andarmene? Le dico subito che nella storia del giornalismo vi sono stati eccellenti professionisti, sicuramente molto più bravi di lei e di me messi insieme, che si sono rassegnati a mollare l’osso nonostante le loro direzioni andassero a gonfie vele. Marco Travaglio, una fonte storiografica che non dovrebbe dispiacerle, sostiene per esempio che Mikhail Kamenetzky, alias Ugo Stille, riportò al Corriere della Sera molti lettori che Piero Ostellino avrebbe smarrito per strada. Io ci credo poco (i maligni sussurrano che lo stimato marziano paracadutato da New York abbia trascorso cinque anni chiuso nel suo ufficio di via Solferino a guardare soprattutto cartoni animati giapponesi) e comunque in questo momento non sono in grado di controllare.
Sta di fatto che, volendo dar credito a Travaglio, il conquistatore di copie Stille fu disarcionato per far posto a Paolo Mieli. Che, se non vado errato, portò il Corriere a livelli diffusionali mai visti prima d’allora. Così va il mondo (dei direttori). Vabbè che è figlio di Attilio Ruffini, parlamentare, sottosegretario e ministro dc di lungo corso, e pronipote del cardinale Ernesto Ruffini, ma guardi che «sacerdos in aeternum» vale solo per le vite consacrate. E poi, scusi tanto, lei avrà fatto anche benissimo, ma non è mai colto dal dubbio che chi verrà dopo possa fare ancora meglio? Vuol dare la possibilità di un giro di giostra, per dirla con Terzani, anche a qualcun altro, a un Mieli della televisione per capirci? Perché, sa, dai nomi che girano in queste ore per la sua sostituzione - Giovanni Minoli, che certo di Tv mastica più di lei e da molto più tempo, e Antonio Di Bella, figlio di tanto padre - pare proprio che non dovremmo rimpiangerla troppo. In ogni caso bisogna sempre stare attenti a non inchiavardarsi troppo al proprio sedere. Poi si finisce col considerarsi indispensabili nel ruolo che tutti provvisoriamente occupiamo sulla scena della commedia umana.
Ciò premesso, c’è una frasetta di cinque parole, nella sua intervista a Repubblica, che merita più d’ogni altra l’evidenziatore giallo, là dove sostiene d’aver fatto grande Raitre «senza cedere alla deriva trash». In altre parole lei vorrebbe farci credere d’essere stato l’unico, nell’etere, a opporsi a quell’orientamento di costume prevalente oggidì che predilige ed enfatizza quanto v’è di più brutto, grottesco e volgare. Porti pazienza, ma forse ci siamo sintonizzati sul canale sbagliato. Se c’è un filo rosso che da tempo immemorabile lega tutti i programmi di Raitre, da Avanzi a Parla con me, è proprio la trivialità. Quella, per capirci, che La Tv delle ragazze veicolava sotto forma di spot del gel Sputo Line, un’evoluzione della Brillantina Linetti tirata su direttamente dai precordi dei vostri creativi, o del prodigioso detersivo che sbiancava «pipì, caccole, cerume, cacca di piccione, vomito, sputo, scaracchio, catarro incrostato», in una deriva non saprei dire se più trash o più otorinolaringoiatrica, di sicuro repellente e comunque connessa alla patologia colonproctologica testimoniata dalle scoregge dei ripugnanti siciliani desnudi di Ciprì e Maresco in Cinico Tv.
È questa l’eredità, caro il mio direttore periclitante, che lei magari non avrà accresciuto ma certamente s’è ben guardato dal dilapidare. Diciamo che ha badato a mantenersi sul registro dei suoi predecessori, che poi dev’essere quello degli spettatori di riferimento di Raitre. A tal proposito permetta che la aiuti, visto che la sua memoria in fatto di trash non la assiste. Ha dimenticato la puntata del 10 maggio scorso di Che tempo che fa con Luciana Littizzetto che intratteneva per tre minuti i telespettatori sullo «sbiancamento anale», mentre quel dormi in pace del boyscout Fabio Fazio, con la sua aria da sanctificetur, fingeva come sempre di prendere le distanze squittendo «Lucianina!», «no!», «ma dài!», «basta!» e coprendosi gli occhietti con le mani? Oppure s’è forse perso, direttore, Parla con me del 29 settembre, che nel giorno del compleanno di Silvio Berlusconi festeggiava il bagno privato del capo del governo, con un water d’oro che irraggiava di luce la prima puntata del siparietto satirico Lost in wc? Persi nel cesso. Ormai un marchio di fabbrica della sua Raitre, si direbbe. E non era forse lei il direttore di Raitre che mostrò in fascia protetta alcuni minori inseriti «in un reality dai contorni morbosi», Il funambolo, «un programma spazzatura» (a proposito di deriva trash), come fu bollato dalla presidente del Movimento italiano genitori, nel quale veniva mostrata «la quotidianità della famiglia “extralarge” del signor Enzo Ghinazzi, in arte Pupo», in cui si intrecciavano «storie di amanti remote, amanti attuali, mogli, figli nati dal matrimonio, figli nati fuori dal matrimonio e vizi di gioco, il tutto condito da un ricorrente lessico triviale»?
Lei, egregio Ruffini, non può chiamarsi fuori per il semplice motivo che il trash è ovunque, percorre trasversalmente tutte le televisioni, specchi fedeli di una società che più trash di così non si può. Il che varrà forse come attenuante. Ma la esenta dall’infliggerci la recita della verginella. A me pare che la cifra ultima della sua Raitre sia ben compendiata in quel ventennale frullato di carognate e sconcezze che è Blob, quintessenza del peggio del peggio dell’emittenza pubblica e privata. E non perché giovedì scorso abbia paragonato il presidente del Consiglio all’Enterogermina (quella gastroenterica dev’essere proprio una vostra ossessione), o per le lesbiche e i trans che si baciano all’ora in cui un tempo andava in onda Carosello, o per la sistematica ridicolizzazione dei simboli patriottici e religiosi.
Ma per la ferocia nel sottotitolare Paura eh?!? le riprese di un malore che colpì Berlusconi, per la stupidità nel dileggiare Umberto Bossi colpevole soltanto d’essersi fatto venire un’ischemia cerebrale, in una parola per il mancato rispetto dei fondamentali del vivere civile. Ciò che, se non ricordo male, è valso alla sua Raitre, intrepido direttore, un formale richiamo dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dopo che già il consiglio d’amministrazione era stato costretto a scusarsi. Ora un componente di quello stesso Cda, Nino Rizzo Nervo, indicativo presente che denota turgore, dichiara: «Per quanto mi riguarda, Paolo Ruffini è la linea del Piave». Allora auguri per la vittoria, direttore.
Ma tenga presente che cosa disse il generale Armando Diaz quando gli mostrarono il puntolino nero di Vittorio Veneto sulla carta topografica militare: «Ma chistu è ’na cacatura ’e mosca!». Lì a Raitre non avete bisogno di traduzione. stefano.lorenzetto@ilgiornale.it- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.