Quando la destra sapeva dialogare anche con i «nemici»

RomaGli ultimi tre lustri della politica hanno avuto una parola chiave: «sdoganare». Non solo perché la Seconda Repubblica ha portato in primo piano comprimari abituati a ruoli marginali, ma anche perché ha reciso con decisione le radici di alcuni tabù ideologici capaci di condizionare per mezzo secolo la vita politica e la storiografia ufficiale della nazione. Col senno di poi è facile vedere in alcuni esponenti della destra italiana solleciti «sdoganatori». Più difficile trovare chi già nell’immediato dopoguerra è stato strenuo artefice di un’attività di conciliazione. Tra questi vanno senz’altro riconosciuti Franz Turchi, fondatore del Secolo d’Italia, e suo figlio Luigi. Quest’ultimo ha dato adesso alle stampa un volume di memorie per i caratteri di Franco Angeli dal titolo più che significativo: Incontro con il nemico (prefazione di Giulio Andreotti), presentato ieri alla Biblioteca del Senato dai giornalisti Angelo Polimeno e Cesare Pucci. Luigi Turchi, proprio come il padre, è stato innanzitutto un uomo di fede, un «patriota» e un conciliatore. Poco dopo la caduta di Milano già appuntava sul suo diario la necessità per l’Italia tutta di riconciliarsi e di ritrovare un’identità comune, lontano anni luce da quegli opportunisti dell’ultima ora schieratisi per comodità nella falange dell’antifascismo. «Sia per Luigi che per suo padre Franz - ricorda Cesare Pucci - la parola d’ordine è stata “pacificazione”». Sono tanti i personaggi che affollano le pagine di questo libro di memorie: da Giorgio Napolitano a Enrico De Nicola, dallo stesso Andreotti ad Arturo Michelini. Con episodi e aneddoti che impreziosiscono la cronistoria di quegli anni (dalla riconsegna della salma di Mussolini alla famiglia alla «conquista» di alcuni scali aeroportuali negli Stati Uniti a favore della nostra compagnia di bandiera). La famiglia Turchi ha rappresentato nella destra storica una vera e propria corrente politica tanto che il ruolo di Luigi nella nascita della Democrazia nazionale nel 1975 è tutt’altro che marginale. «La destra di oggi? Ondivaga e con una strategia poco chiara» commenta Luigi Turchi. «Nei personaggi di oggi è difficile riconoscersi. A questo Paese e a questa destra manca un uomo come Pinuccio Tatarella». In fondo, oltre al pragmatismo, a caratterizzare l’azione di Luigi Turchi è sempre stata la moderazione bilanciata da un attaccamento rigido a valori oggi così fuori moda: Dio, famiglia, patria.

L’editore del Secolo d’Italia, l’artefice dell’immagine del made in Italy all’estero (proprio Andreotti lo indicò come commissario per quattro edizioni dell’Esposizione universale) è anche orgoglioso di alcune battaglie politiche che hanno lasciato il segno. «Come l’elezione di Antonio Segni al Quirinale - ricorda l’ex parlamentare -. I nostri voti furono determinanti allora. Il nostro protagonismo di oggi ha una radice lontana».

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