Vecchie attrazioni mai sopite che riemergono all’occasione buona, quando si incrinano le alleanze e si rispolverano magari vecchi progetti. Tra il Fini legalitario del Msi negli anni di Mani pulite e il Fini di adesso, garante della pax istituzionale tra potere legislativo e potere giudiziario, c’è un filo rosso che porta sempre lì, dalle parti di Antonio Di Pietro, ex toga milanese in Tangentopoli e ora oppositore feroce di Berlusconi, con tendenza verso l’elettorato della sinistra post comunista ma nel fondo pur sempre uomo d’ordine e legge, manette e ordini di cattura. L’idillio, che in questi giorni - stando alle voce e alle indiscrezioni - sembra aleggiare di nuovo, parve qualcosa di più che un semplice crocevia di sentimenti, quasi un patto. Chi custodisce il ricordo di quel momento, primavera del 1996, è Mirko Tremaglia. Allora Di Pietro era corteggiato da molti per indossare una casacca politica dopo aver smesso la toga, tra questi c’era Gianfranco Fini, e si arrivò quasi al dunque in quel maggio, almeno così sembrò a Mirko Tremaglia, bergamasco e vecchia guardia del partito di Fini. Lo avrebbe raccontato poi Tremaglia, in un libro di Bruno Vespa, rivelando gli accordi prossimi alla dirittura tra Fini e Di Pietro, per superare Berlusconi passando dal centro, sottraendo al Cavaliere, sull’onda degli entusiasmi popolari per l’ex pm giustiziere della politica corrotta, l’elettorato moderato, conservatore. L’idea di Fini e Di Pietro era quella di un «Polo B» (come ricordano le due recenti biografie di Di Pietro, Il Tribuno di Alberico Giostra e Di Pietro, la storia vera di Filippo Facci), una formazione di centrodestra che avrebbe visto come componente di destra la An di Fini e come centrista - anche se pensare a lui come centrista oggi sembra un ossimoro - proprio lui, Tonino. Secondo il racconto del parlamentare di An Tremaglia i primi giorni di maggio del 1996. Di Pietro gli aveva proposto un patto: «Se io potessi diventare il catalizzatore dell’opposizione, potremmo fare una cosa: un Polo B». Di Pietro, a domanda di Tremaglia, si spiegò meglio: «C’è sempre il problema - disse Tonino - di creare una posizione centrale, moderata, che possa poi allearsi con An. Dobbiamo togliere le etichette e fare una formazione unica». Tremaglia non fu sorpreso dal volo pindarico di Di Pietro, perché quello era proprio il disegno del suo leader. «È quel che voleva fare Fini, la strategia che voleva adottare con Segni e Adornato» raccontò poi l’anziano parlamentare di An.
Non avevano però fatto i conti, l’idealista Tremaglia e il pragmatico Fini, con l’imprevedibilità di Tonino, che pochi giorni dopo la mezza intesa con An per un partito comune in funzione anti Silvio, firmò l’offerta del nuovo premier Romano Prodi e diventò ministro del suo governo. Tradimenti, che però non cancellano gli amori profondi, e quello tra Fini e Di Pietro dev’essere di quel genere se ora, agli opposti schieramenti, sembrano cercarsi di nuovo e quasi toccarsi.
Il superamento di Berlusconi al centro, con o senza Tonino, è un sintagma già comparso nel linguaggio politico di Gianfranco Fini. Un altro di quei tasselli che Tremaglia evocava in quell’immaginario Polo B con Di Pietro-Fini era Mario Segni. E con Mario Segni, qualche anno dopo, Fini avrebbe stretto un’alleanza non virtuale ma reale, alle europee. Esito catastrofico, ma segno di una tentazione che forse è rimasta.
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