Politica

Quando a Fini i giudici non piacevano: «I loro sono teoremi»

Nella giustizia, e nei giudici, bisogna sempre aver fiducia. In questa direzione s’è espresso il presidente della Camera dal pulpito di Gubbio a proposito degli attacchi politici alle toghe siciliane che indagano sulle stragi del ’92. Guai, dunque, a pensar male come invece fa Silvio Berlusconi, che ha denunciato il complotto di più procure antimafia per farlo politicamente fuori. Eppure proprio Gianfranco Fini, tre anni fa, quando da Potenza il pm Henry John Woodcock iniziò a prendere di mira il suo portavoce Salvo Sottile, la sua ex moglie Daniela Fini e il suo segretario particolare (oggi senatore Pdl) Francesco «Checchino» Proietti, accennò a una sorta di Spectre, ribellandosi alla divulgazione di intercettazioni che poco o nulla servivano all’inchiesta. Senza mezzi termini parlò di «teoremi contro di noi», nel senso di Alleanza nazionale, finita nel tritacarne mediatico-giudiziario per la sgradevole vicenda del suo portavoce con le showgirl e per il filone giudiziario sui presunti illeciti nel campo sanitario, poi trasferito a Roma per competenza, dove Daniela Fini venne indagata per abuso d’ufficio a causa di un accreditamento concesso dalla giunta regionale guidata da Francesco Storace a un centro diagnostico nel quale come socio, oltre all’ex signora Fini e al fedelissimo Proietti, risultava anche la cognata dell’attuale presidente della Camera.
Proprio la pubblicazione delle intercettazioni rivelò uno spaccato non proprio edificante di quel che accadeva intorno a Gianfranco Fini. Il quale, dopo essersi detto «indignato» per quanto finiva ogni giorno in edicola, parlò di un «abuso disdicevole e immorale delle intercettazioni telefoniche sbattute in prima pagina sui giornali» che riguardano persone nemmeno indagate. Fini si disse poi indignato anche «per evidenti ragioni di tipo familiare». «Non penso - aggiunse - che essere mia moglie significhi meritare gogne mediatiche». Gogne mirate - secondo quanto recitava un documento approvato dai colonnelli di An - «a colpire l’immagine e la credibilità di Alleanza nazionale attraverso una campagna stampa martellante». Nel documento (primo firmatario Altero Matteoli) si respingevano le accuse attaccando la divulgazione di intercettazioni «peraltro arbitrariamente divulgate», dalle quali emergono «episodi o fatti sicuramente non penalmente rilevanti, con colloqui di carattere privato, irrilevanti sul piano penale. Con la conseguenza evidente di gettare ombre sul partito, esponendolo a una gogna mediatica inaccettabile».
Dagli studi di Ballarò, evidentemente risentito con la procura di Potenza, Fini evocò una regia occulta per colpire al cuore il suo partito: «Avendo letto gli atti - tuonò - sono convinto che tutti capiranno che si tratta di un teorema privo di riscontri. Cosa si vuol dimostrare? Che c’è una questione morale che riguarda An? Se è così, non ci stiamo». Una regia occulta? Un piano segreto? Pupi e pupari per far fuori Alleanza nazionale? Fini l’ha messa così: «Non credo che in Italia ci sia la Spectre ma ci sono fatti che non capisco. Io non sono mai stato sfiorato da un sospetto e poi, di punto in bianco, vengono coinvolti il mio segretario, il mio capo ufficio stampa...». Se non è un complotto, poco ci manca. E allora ecco l’avvertimento sibillino ai magistrati: «Il male che si è fatto ad un uomo come Sottile, a una comunità politica, qualcuno dovrà pagarlo.

Possibile che i magistrati siano l’unica categoria che per una ragione o per l’altra non paga mai?».

Commenti