Quando Fiume dipingeva alla Scala

N el 1953 Maria Callas ebbe salva la vita grazie alla prontezza di Salvatore Fiume. Fu durante le prove della «Medea» di Cherubini, lo spettacolo di apertura della stagione scaligera di quell'anno. Il soprano greco, a cui era affidato il ruolo della protagonista, si aggirava assorta sul palco, a pochi metri da una botola scoperchiata che la sua forte miopia le impediva di vedere. Fiume la fermò proprio mentre stava per compiere il passo fatale...
Su quel palco il pittore siciliano era presente nelle vesti di scenografo. Pochi sanno che Fiume, tra gli anni Cinquanta e i Novanta, collaborò con i maggiori teatri europei, come la Scala, il Covent Garden di Londra, l'Opera di Montecarlo, il Massimo di Palermo. Più che scenografie, le sue furono delle visionarie installazioni pittoriche, delle sperimentazioni artistiche a 360 gradi di eclatante modernità. Le scene di «Medea», ma anche quelle della «Norma» di Bellini, rappresentata alla Scala nel 1955 con due interpreti d'eccezione quali la Callas e Mario Del Monaco, evocavano mondi primordiali, architetture oniriche, città pietrificate simili a quelle presenti nei dipinti degli stessi anni, ma di un'imponenza e di una efficacia spettacolare che lasciarono sbalordita la critica.
Lavorando ai costumi e ai fondali della «Medea», Fiume stabilì un rapporto particolare con la Callas: il suo atteggiamento protettivo gli permise di conquistare la fiducia della cantante, che gli si affidò in un momento delicato della sua carriera. Nel 1953 la Callas portò a termine quella radicale metamorfosi fisica che, da giovane paffuta almeno quanto talentuosa, la trasformò nella figura affilata e di insolita bellezza che è entrata nell'immaginario collettivo. Con i suoi costumi ingegnosi e sensuali, Fiume seppe sottolineare e allo stesso tempo celebrare il corpo della cantante, contribuendo in tal modo al suo trionfo.
Di questa vicenda ignorata dagli storici dello spettacolo e dell'arte discuteranno oggi alle 18.30, presso il ristorante Marchesino alla Scala, in piazza Scala angolo via Filodrammatici (ingresso libero con prenotazione allo 031.637402), Luciano Fiume, presidente della Fondazione Fiume, Vittoria Crespi Morbio, già presidentessa degli Amici della Scala e autrice del volume "Fiume alla Scala", Andrea Bisicchia, docente di Critica Teatrale presso l'Università di Parma. Il dibattito avverrà in occasione dell'uscita del libro «Salvatore Fiume. Un classico moderno», scritto da Roberto Borghi e pubblicato da Mazzotta. Il volume, a cui seguirà una mostra presso Lariofiere di Erba che si aprirà il 31 ottobre, documenta l'intero percorso creativo dell'artista siciliano, essenzialmente caratterizzato dal suo eclettismo. Oltre che pittore, Fiume fu infatti un apprezzato romanziere, un drammaturgo, l'inventore di originali utopie architettoniche, l'illustratore dei grandi classici e della Bibbia.
Il teatro rivestì comunque per lui un'importanza particolare. Fiume arrivò a lavorare alla Scala introdotto da Alberto Savinio, lo scrittore e pittore surrealista che, insieme a suo fratello, Giorgio De Chirico, e a Dino Buzzati fu tra i suoi grandi estimatori. Il compito di Fiume non fu all'inizio tra i più facili: si trattava di sostituire nientemeno che Salvador Dalì ( licenziato in tronco per la sua sfibrante eccentricità e per le sue esorbitanti pretese) nella realizzazione di scenografie innovative.

Dalla messinscena della "Medea", l'opera che rivelò appieno le straordinarie doti della Callas, l'artista nativo di Comiso realizzò altri otto spettacoli per la Scala, tutti all'insegna di una sperimentazione fondata sulla sua grande artigianalità pittorica.

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