Quando giurò ai funerali di Almirante: "La nostra idea non cambia bandiera"

Promise al popolo missino, orfano del suo leader, che non avrebbe mai "offeso o rinnegato il nostro credo". Eppure oggi si è trasformato in un paladino della sinistra: il suo nuovo credo è l'antiberlusconimso militante

Quando giurò ai funerali di Almirante: "La nostra idea non cambia bandiera"

Roma - Il giuramento tradito. La promessa ai camerati, in lacrime e in lutto, rinnegata ventidue anni dopo. In una piazza Navona stracolma, in quel giorno uggioso di maggio che nessun ex missino dimenticherà mai, l’orazione funebre alle esequie dei due leader della destra nostrana, Giorgio Almirante e Pino Romualdi, toccò al giovanissimo delfino-designato: Gianfranco Fini.
Sotto ai saluti romani della folla orfana del suo vero, unico, grande leader, sfilò a rendere onore persino Nilde Iotti, e prim’ancora, in via della Scrofa, il compagno Pajetta. Le parole di allora, riproposte nel libro Neri di Mario Caprara a e Gianluca Semprini, fanno una certa impressione se confrontate oggi con l’abiura di Mirabello certificata nero su bianco dalla vedova Almirante («Fini ha rinnegato definitivamente l’incarico che gli aveva dato Giorgio, e nel discorso non ha avuto nemmeno il coraggio di fare il suo nome perché ha avvertito il tradimento»).
Il nuovo segretario raccolse il testimone ma alla sua prima, vera, uscita pubblica, di fronte al suo popolo, non se la sentì di parlare a braccio. Lesse: «Voi, Almirante e Romualdi, siete stati gli alfieri di questa Italia che ha incivilito il mondo (...). Due alfieri di quella idea che non cambia bandiera, che non si vende, che non rinnega, che non tradisce, che non offende». L’esatto opposto di quel che oggi i detrattori di Fini imputano al loro ex leader: proprio lui, alla fin fine, ha cambiato bandiera (copyright La Russa), s’è venduto all’antifascismo del Male Assoluto prima e poi all’antiberlusconismo militante, ha rinnegato la sua storia, ha tradito gli ideali della sua gente arrivando a offendere («infami!») chi ha avuto il torto di insistere con le domande a cui il delfino di Almirante ancora ieri ha evitato di rispondere.
«Parlare di te, Almirante, e di te, Romualdi, è uno schianto - proseguiva Fini -. Uno schianto terribile, che ci soffoca il cuore, che ci prende alla gola. Ma è anche un onore che ci inorgoglisce fino alle lacrime. Perché qui, oggi, commemoriamo due italiani. Due grandi italiani, due italiani puliti, coerenti, coraggiosi, tenaci. Commemoriamo due mastri di vita e di pensiero, due esempi che non possono morire con la morte fisica dei vostri corpi. Voi, Almirante e Romualdi, siete dentro di noi». Braccia tese, urla da boia chi molla, i nomi Giorgio e Pino scanditi nel pianto, col groppo in gola. «Appartenete a tutto questo popolo italiano che avete amato - continuava Fini - anche quando la legge della fazione lo ha diviso tragicamente determinando ferite che voi volevate sanare e noi vogliamo sanare».
Un lungo corteo, scrivono Caprara e Semprini, accompagnò le due bare fino a piazza Navona. Gianni Alemanno, neoleader del Fronte della gioventù, curò il servizio d’ordine. Il giovane neosegretario, Fini, ripercorse la loro storia. E lanciò alta, forte, una promessa solenne sul futuro del partito che per certi versi rimanda al testamento della vedova Anna Maria Colleoni che chiedeva il proseguimento della «buona battaglia» come garanzia per la donazione degli appartamenti a Roma e Montecarlo regalati ad Alleanza nazionale: «Accogliete dunque, giovani, questo mio commiato come un ideale passaggio di consegne. E se volete un motto che vi ispiri e vi rafforzi, ricordate: “Vivi come se tu dovessi morire subito, pensa come se tu non dovessi morire mai”...».
A seguire ecco il passaggio del «testimone in buone mani» che fa inorridire gente come donna Assunta e come tutti coloro che al pari della vedova Almirante nutrono i sentimenti peggiori per l’ennesima, definitiva, capriola del predestinato alla successione di Giorgio Almirante alla segreteria della fiamma tricolare: «No, caro Almirante, il testimone non è caduto a terra. È in buone mani. In mani giovani, in mani forti, in mani che non cederanno. Lo porteremo avanti, avanti, avanti, anche per te, anche con te. Perché tu, Almirante, perché tu, Romualdi, non ci lasciate. Voi restate fra noi, alla nostra testa, in piedi. Come sempre siete vissuti». E ancora. «Grazie per quello che ci avete consegnato, grazie per quello che ci avete insegnato (...). Vivremo per voi e con voi, ve lo giuriamo col cuore gonfio di dolore e con l’animo colmo di fierezza per esser stati con voi nelle sconfitte e nelle vittorie.

Sempre, in questi anni, meravigliosi e terribili, nei quali ci avete insegnato che le prove più difficili debbono e possono essere vinte. Voi, insieme, le avete vinte. Noi, insieme, le vinceremo». Insieme a Berlusconi e Bossi ha deciso di no.

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