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Quando i potenti vanno al summit con la malattia

Per molti leader è segno di debolezza ammettere pubblicamente l’infermità Fecero eccezione Rudolph Giuliani, Wojtyla e Berlusconi. Ma non Bertinotti

Filo-americano fino in fondo, anche nell’ora della malattia il primo ministro israeliano ha seguito la strada tracciata dai politici a stelle e strisce, ovvero convocare la stampa e comunicare alla nazione che il capo sta male ma ce la farà. Come Rudolph Giuliani, autore di una clamorosa confessione-choc alla fine dell’aprile 2000: era sindaco di New York e candidato al Senato contro Hillary Clinton quando rivelò di avere anch’egli un cancro alla prostata. Sei anni prima, l’ex presidente Ronald Reagan (che alla Casa Bianca aveva subìto due operazioni per il cancro al colon e alla prostata) aveva tolto il segreto dal male che lo divorava, l’Alzheimer: «Comincio il viaggio che mi porterà al tramonto della mia vita», scrisse in una lettera che commosse l’America.
L’operazione-trasparenza non è comune tra i potenti che improvvisamente scoprono l’inefficacia del loro potere. Il capostipite fu Giovanni Paolo II, per anni il malato più famoso del mondo: una domenica del luglio 1992 dopo aver recitato l’Angelus disse che nel pomeriggio sarebbe entrato al Gemelli per sottoporsi agli esami che avrebbero fatto scoprire il tumore benigno al colon. Ogni suo ricovero è stato seguito dai media e accompagnato da bollettini medici. Ma pochi altri hanno scelto, come papa Wojtyla, di rinunciare alla privacy. E se lo hanno fatto, è stato sull’onda delle notizie trapelate sui giornali o di episodi imprevisti.
Dell’operazione alla prostata di Fausto Bertinotti, nulla si doveva sapere. Il presidente della Camera, per tutelare la propria riservatezza, lo scorso Natale aveva fatto occupare quattro camere della casa di cura privata Villa Margherita di Roma, per sé, i familiari e la scorta: ma durante il trasferimento in sala operatoria è stato riconosciuto da una degente e lo staff di Montecitorio ha dovuto correre ai ripari con un comunicato.
Negli stessi giorni, il riserbo ha avvolto l’intervento di angioplastica coronarica cui è stato sottoposto il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, al policlinico romano di Tor Vergata. Giornalisti e teleoperatori hanno invece scavalcato in massa l’oceano quando, a metà di quello stesso dicembre 2006, Silvio Berlusconi è stato operato nel centro cardiologico dell’ospedale di Cleveland per correggere uno scompenso cardiaco. Nell’ottobre 2004 l’operazione-lampo per impiantare un pace-maker nel petto di Carlo Azeglio Ciampi fu resa nota a cose fatte il giorno prima che il capo dello Stato tornasse al lavoro al Quirinale. Qualche polemica caratterizzò invece un intervento analogo su Tony Blair, premier inglese, per la scarsità di informazioni fornite.
Ancora più rari sono i politici che decidono di parlare delle loro malattie. Lo fece Berlusconi nel 2000, raccontando a un gruppo di ragazzi ex tossicodipendenti che tre anni prima era stato operato alla prostata. Di sicuro non lo farà Fidel Castro, che da anni tiene nascosto al mondo il suo stato di salute. D’altra parte, sarebbe ingenuo aspettarsi che l’uomo forte di Cuba si adegui al modello americano: il líder máximo segue ancora l’esempio sovietico.

Dove i capi del Pcus si ammalavano soltanto di raffreddore.

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