Quando i rom si chiamavano zingari

Caro Granzotto, vorrei soffermarmi sul problema dei rom che tanto ci angustia. Per prima cosa vorrei chiederle perché adesso li chiamiamo rom quando li abbiamo sempre chiamati zingari. In seconda battuta mi domandavo se trova giustificata la diffidenza generalizzata verso di loro. Terzo e ultimo punto, come mai se sono nomadi non se ne vanno mai dalle baraccopoli che hanno creato nelle periferie della città.



Li chiamiamo rom perché pare che rom sia più politicamente corretto di zingari (mentre «nomadi» proprio non si pone. Saranno anche figli del vento, ma mai che alzassero le vele). Però non mi chieda perché, d’un botto, zingari sia diventata parola impronunciabile. Mistero. Zingaro è attributo antico come il mondo e non ha mai avuto taglio spregiativo. Non l’hanno certamente espressioni come «bellezza zingaresca», «vita zingaresca» o «spirito zingaresco». La scemenza del politicamente corretto è un abisso insondabile, caro Bava, e non ci resta che prendere atto, con un’alzata di spalle, delle sentenze emanate nel suo nome. Oltre tutto pare che rom sia termine sbrigativo e identificherebbe - così come l’altro termine, molto «di tendenza», sinti - solo una delle tante etnie degli zingari. Resta però il fatto che rom o sinti che siano, gli zingari destano diffidenza. Su questo non ci piove. Certi preti e certi intellettuali vanno dicendo che è un sentimento mal riposto poiché basterebbe «confrontarsi» con loro, immergersi nella loro «civiltà», inebriarsi della loro «cultura» per fugare quei sospetti che gli zingari medesimi non fanno nulla per alimentare. Mah. Capisco che ciò appartiene alla loro civiltà, alla loro cultura, ma come la mettiamo col fatto che sono allergici al lavoro, all'impegno continuativo, a faticare, insomma?
Come la mettiamo che siccome il lavoro sottrae il tempo e gli zingari intendono essere - perché quella è la loro «cultura» - padroni del proprio tempo, essi non vanno più in là di una vita di espedienti? Più in là dell’accattonaggio, lettura della mano, elaborazione di fatture, malocchi e buonocchi? Per non parlare di furti, furtarelli e colpi grossi? Come la mettiamo che il 97 per cento degli zingarelli e delle zingarelle - sono cifre ufficiali - non frequentano la scuola dell’obbligo? E li rivediamo, filmati e fotografati, a scippare in pieno giorno? Quando poi non ce la menano con la «cultura» e la «civiltà», ce la menano col fatto che gli zingari sono una minoranza e/o dei «diversi», noveri antropologici molto à la page. E l’ipocrisia politicamente corretta esorta, o, per meglio dire, intima di ritenere ogni minoranza (e/o «diversi») buona, brava e stimabile. Di ritenere che tutto le si debba perdonare e che, come un dì Benito Mussolini, abbia sempre ragione, sicuramente più ragione della maggioranza.

Si può essere più sconsiderati? Se invece di farla a noi, gli apostoli del politicamente corretto facessero la predica a loro, agli zingari, stia certo caro Bava che episodi inauditi come quello di Ponticelli non si sarebbero verificati. Con buona pace di maggioranze e di minoranze, di diversi e di affini.

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