Quando un’idea diventa una favola

Viaggio nel mondo degli adulti che ritornano bambini per raccontare le storie di fate, principi azzurri e cattivi sempre sconfitti

Tutto comincia quando un bambino ride. «Dovete sapere che la prima risata di un neonato diventa una fata. Spesso diventa una fata del Mondofermo. Ma, di tanto in tanto, diventa una fata dell'Isola-che-non-c'è». Gail Carson Levine ha scritto numerosi libri per ragazzi, fra cui «Ella Enchanted», ha vinto premi quali il Newbery honor book e il Notable book e, ora, è tornata al suo primo amore: Peter Pan.
La dedica del suo libro è chiara: «A James Barrie e al mio primo "ragazzo"», Peter appunto. «Trilli e l’isola delle fate» (pubblicato da Disney libri e tradotto in 32 lingue) riprende il capolavoro di Sir Barrie, ma da un altro punto di vista: quello della bella Campanellino e del mondo di fatine in cui vive. Peter Pan quasi non compare: a rievocarne la presenza sono le parole di Trilli, che a un certo punto confessa il suo amore per l'eroe eternamente bambino. Peter, come tutti gli abitanti dell'Isola, rischia di perdere la sua immutabile giovinezza: un uragano ha infatti distrutto l'uovo magico che regala l'immortalità, e che è covato senza posa da Mamma Colomba. Spetterà a tre fatine, fra cui la nuova arrivata Prilla, il compito di restituire all'uovo le sue virtù, salvando l'Isola dallo spettro della vecchiaia (il povero Peter, nel frattempo, aveva già cominciato a perdere qualche dente e a toccare il soffitto con la testa).
«È una fiaba classica, che ricalca la struttura base che vede un momento di crisi, il distacco da casa, il viaggio (di crescita, di formazione) e il superamento di una o più prove, per compiere la missione - racconta Anna Chiara Tassan, direttore editoriale di Disney Libri -. E poi ci sono altri elementi, creati dalla fantasia della Levine: ad esempio, la figura di Mamma Colomba, che ha il ruolo di genitore per le fate, altrimenti orfane (visto che nascono da una risata)». Una storia tutta al femminile (gli uomini, inclusi Peter e Capitan Uncino, sono soltanto delle comparse), in cui le fatine, per riuscire a salvare l'Isola, possono contare su poteri minimi: nessuna bacchetta magica, solo la polvere per volare (drasticamente scarsa, a causa dell'uragano e della malattia di Mamma Colomba) e il dono (in bilico) dell'eterna giovinezza. «Quello che conta è lo spirito di gruppo, la capacità di aiutarsi e di riuscire a tirar fuori le proprie risorse, anche nascoste - continua Tassan -. Come succede a Prilla che, alla fine, riuscirà a scoprire qual è il suo talento».
Il finale è roseo, la vittoria è delle fate e dell'Isola, è indenne anche Capitan Uncino (che ormai doveva ricorrere all'aiuto di un bastone per riuscire a camminare), Peter torna bambino, la giovane Prilla esulta per la sua abilità tutta speciale di comunicare col Mondofermo, che è stata l'arma per salvare Mamma Colomba. Perché il segreto dell'Isola è che i bambini credano alla sua esistenza, ed è così, grazie al sostegno dei piccoli, che le fate, Peter e il mondo di Barrie riescono a sopravvivere.
L'amicizia, la crescita, l'unione ma, anche, la sofferenza e lo spavento: come in ogni fiaba che si rispetti, non poteva mancare la componente della paura, quell'aspetto apparentemente terribile eppure così necessario anche in un «mondo incantato». Come spiega Bettelheim nell'omonimo libro, il timore della perdita, dell'abbandono e della sconfitta è parte del vissuto quotidiano dei bambini che, nelle fiabe, lo rivivono senza esserne scossi, anzi: è uno degli elementi che permette loro di rispecchiarsi nei protagonisti.
«I bambini, come tutti d'altronde, soprattutto nel mondo di oggi, hanno paura - ci racconta Roberto Denti, fondatore della storica "Libreria dei ragazzi" di Milano e autore di saggi e libri per i più piccoli - e reagiscono a modo loro, anche nella lettura: qualche anno fa, ad esempio, era molto diffusa la collana dei "Piccoli brividi". Un altro modo per mediare l'angoscia è la letteratura d'evasione, che consente di scappare dal mondo circostante».
C'è chi non rinuncia, comunque, al legame con il mondo reale: le filastrocche e le storie di Gianni Rodari offrono una via di fuga senza dimenticare la concretezza della realtà, con cui mantiene sempre un contatto diretto. E infatti le sue Favole al telefono sono ancora un classico, proprio perché consentono più facilmente ai bambini di immedesimarsi nel racconto.
«Il meccanismo dell'identificazione scatta grazie alla magia - continua Denti -; comincia con la fiaba e, poi, si modifica, quando si passa al romanzo e a personaggi più complessi. Il mio preferito, da piccolo, era "Il gatto con gli stivali": mi sentivo potente come il gatto, che la fa in barba al re e al potere, cioè gli adulti. Poi c'è stato Pinocchio: il burattino è sempre nel posto sbagliato, non ne fa mai una giusta ma, alla fine, diventa comunque un bambino. E poi Salgari: ero Sandokan, il Corsaro, qualche volta perfino Jolanda».
I ragazzi di oggi sono precoci, anche nello scegliere le loro letture: libri, come quelli dell'inglese Roald Dahl che, di solito, si leggevano alle medie, oggi sono destinati alla fascia fra gli otto e i dieci anni di età. E poi ci sono i racconti della Pitzorno, con protagoniste rigorosamente al femminile.
Per i più piccoli, i classici, illustrati. «Le nuove fiabe, come quelle della Disney, hanno introdotto un'innovazione profonda, quella delle immagini. Prima la magia delle storie era legata solo alla parola; ora i bambini, dopo aver ascoltato un racconto dalla voce dei genitori, possono rivederlo nelle illustrazioni o sullo schermo, grazie alle videocassette. Andersen ha rivoluzionato la fiaba duecento anni fa, adesso le immagini stanno compiendo un ulteriore rinnovamento. I genitori, però, non devono smettere di leggere le storie ai figli: perché la voce ha un fascino e un potere straordinari».
Ed è un potere connaturato alla fiaba stessa, poiché essa nasce, in origine, come racconto tramandato oralmente, da quelle donne un po' fattucchiere che, come nella vita riuscivano a cavarsela in ogni situazione, così, con la parola, potevano ricreare qualunque ambiente e qualsiasi storia, anche la più lontana.
La tradizione appartiene ormai al passato ma, come ricorda Italo Calvino nella sua introduzione alle Fiabe italiane, rimane, immutato, il fatto che le fiabe «sono vere», perché sono «il catalogo di destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che appunto è il farsi di un destino». E se classificazione del catalogo e imprevedibilità del destino possono apparire inconciliabili, è ancora Calvino a rassicurare, a dire ai suoi lettori di non sorprendersi.

Perché egli stesso, tuffatosi in un mare in cui si spinge solo gente attratta da «un richiamo del sangue», si scopre improvvisamente colto da una «passione da entomologo» che assume, ben presto, i tratti di una mania: catturato, appunto, «dalla natura tentacolare, aracnoidea» delle fiabe, dalla loro «infinita varietà ed infinita ripetizione».

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