«Dal consenso alla guerra dAfrica»: così sintitola il nuovo volume della storia dItalia che affronta due temi importanti del ventennio fascista. Anzitutto quello del consenso. Non cè dubbio secondo me - ma anche Pietro Scoppola lo riconosce nelle sue intelligenti pagine - che Mussolini poté a lungo contare sul favore degli italiani. Dalla Conciliazione fino alle leggi razziali e allintervento nella seconda guerra mondiale, il fascismo ebbe con sé la maggioranza del Paese. I cultori del mito retorico duna Italia che gemeva sotto il giogo delle camicie nere ricordano quanto massiccio e opprimente fosse il dominio del regime sui mezzi dinformazione, quanto martellante fosse la sua propaganda. Tutto vero. Ma non basta per spiegare unadesione così vasta.
Non vera in essa nulla o quasi nulla dideologicamente motivato. È che tanti italiani trovavano abbastanza confortevole una dittatura che non pretendeva slanci di fede, e che saccontentava di qualche segno formale dobbedienza. La «mistica» che il Duce volle imbastire basandola su una dottrina inesistente, interessava poco i più: oltretutto interessava poco anche a lui. I ridicoli riti staraciani divertivano gli italiani più che indignarli. La bellicosità di parata, la romanità di cartapesta, lorbace dei gerarchi non penetravano nel profondo dun Paese scettico e a suo modo saggio, che ne aveva viste tante ed era disposto anche a vedere Benito che trebbiava il grano.
Si aggiunga che lui, il Duce, era un genio nel proporre la sua immagine. Oggi è facile ironizzare sulla faccia feroce, sulle pose maschie di Mussolini mentre pronunciava i suoi discorsi dal balcone di palazzo Venezia. Ma la sua voce era inconfondibile e magica, e i suoi atteggiamenti istrionici erano funzionali per uno che si rivolgeva a una folla distante. Se avesse avuto a disposizione un mezzo come la televisione Mussolini, siatene sicuri, avrebbe surclassato qualsiasi altro politico. Lapatia consenziente degli italiani finì per due fatti traumatici: la persecuzione antisemitica, che li mise a disagio, e lentrata in guerra, che non volevano. Ma la guerra laccettarono finché parve che la Germania, alleata antipatica, dovesse vincerla. Poi le si rivoltarono contro.
Lo zenit del consenso il fascismo lebbe con la campagna dEtiopia: applaudita con entusiasmo anche da personaggi che nel fascismo non serano intruppati. Era, quello mussoliniano, un colonialismo anacronistico, un Impero del quale veniva proclamata la fondazione mentre i veri imperi coloniali, linglese e il francese, già si stavano sfaldando. Ma rispondeva, limpresa africana del Duce, allidea che lItalia ricca di braccia e povera di terra e di risorse, dovesse avere - come scrive bene Valerio Castronovo - un posto al sole. Quellidea romantica, che prometteva terre fertili e sconfinate per loperosità della nostra gente, aveva avuto già come cantore, al tempo della giolittiana guerra di Libia, il poeta Giovanni Pascoli che declamava «la grande proletaria sè mossa».
Con una miscela storico-politica degna del suo sopraffino talento pubblicitario, il Duce intrecciò, nella conquista dellEtiopia, la romanità - lImpero che tornava sui colli fatali - alla lotta dei popoli poveri contro legoista Albione dai cinque pasti e alla ribellione a una Società delle Nazioni che aveva voluto punire ed umiliare lItalia fascista, e aveva fallito. La coreografia delle donazioni di fedi nuziali alla Patria fu un altro tocco pittoresco di questo straordinario momento del fascismo, il suo migliore e maggiore momento. Gli italiani si illusero e furono illusi? Non cè dubbio. Ma Mussolini aveva toccato corde profonde della loro sensibilità, aveva richiamato ricordi e nostalgie della loro storia recente. LImpero fu effimero.
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