Cultura e Spettacoli

Quando l'orgoglio dei terroni si trasforma in un bestseller

Un libro prende le difese del Sud nella storia d'Italia e diventa un caso editoriale. La tesi? Il meridione è arretrato perché è stato derubato dai conquistatori del Nord

Quando l'orgoglio dei terroni 
si trasforma in un bestseller

Ha scalato per settimane le classifiche dei saggi più vendu­ti, e da settimane è stabilmente al primo posto, senza segnali di flessione, anzi. E parliamo di un autore - Pino Aprile - di lun­go e onorato corso giornalisti­co, ma non famosissimo, né no­to alle patrie tv. Per di più il suo libro ha un titolo - Terroni (Piemme) - che sembra poter allettare soltanto dei veterole­ghisti, arcaici come l'espressio­ne ancora usata con disprezzo per indicare gli italiani del Sud. Invece Terroni è la rivendica­zione dell'orgoglio meridiona­le, oltre che un tentativo di spie­gare - in modo appassionato e polemico - come l'Unità d'Ita­lia abbia danneggiato il Sud e quanto sia costata ai suoi abi­tanti: ridotti, decennio dopo de­cennio, a italiani di seconda scelta, forza lavoro malsoppor­tata al Nord, presunti pelandro­ni e certamente similmafiosi nelle loro terre. Buttato di traverso alle cele­brazioni per i 150 anni dell'Uni­tà, il libro di Aprile non ha il pre­gio del rigore storiografico, ma quello di una furia iconoclasta nel raccontare fatti noti soltan­to agli storici, fatti tenuti nasco­sti a tutti gli studenti che si sono seduti sui banchi delle scuole italiane dal 1861 a oggi. Dun­que ignoranti anche dagli stes­si meridionali: che adesso ­non soltanto loro - scoprono certe verità in Terroni e ne fan­no una sorta di Bibbia delle ri­vendicazioni del Sud. Sostenu­to com'è dai numerosi- piccoli ma combattivi- gruppi neobor­bonici come dal Partito del Sud di Antonio Ciano, sindaco di Gaeta, il volume di Aprile po­trebbe diventare il testo sacro di una futura Lega Meridiona­­le, contrapposta a quella di Bos­si: specialmente se l'attuazione del federalismo fiscale provo­cherà i danni che al Sud tutti si aspettano. Da tutto ciò nasce il successo di un saggio violento quanto ben scritto, che sa portare un' idea dove vuole farla arrivare. A causa del suo ben maggiore equilibrio non ebbe lo stesso successo un libro bello come Sud. Un viaggio civile e senti­mentale, di Marcello Venezia­ni (Mondatori 2009). E per lo stesso motivo temo che non avrà lo stesso successo (corna e stracorna) il mio Il sangue del Sud. Antistoria del Risorgimen­to e del brigantaggio, in uscita a fine anno, sempre da Monda­dori. Il successo di Aprile era prevedibile, e non a caso appe­na Terroni uscì organizzai un dibattito in piazza fra lui, Vene­ziani e me, che si terrà a Mono­poli il 5 agosto nell'ambito del progetto Cantiere Cultura. Sa­ranno interessanti soprattutto le reazioni del pubblico. Le mie tesi non sono dissimili da quelle di Aprile, anche se equilibrate dai necessari distin­guo, e anche se non sono 'terro­ne' come lui. L'annessione del Sud fu una guerra di annessio­ne e di conquista, spietata e bru­tale. Il Regno delle Due Sicilie non era il paradiso in terra, cer­to, ma neppure l'inferno. Il pa­ternalismo borbonico permet­teva pure ai più poveri di vivere decentemente anche nelle con­dizioni di arretratezza feudale con le quali venivano gestite le terre coltivabili. La vita cultura­le, almeno quella alta, era di tut­to rispetto. Le industrie, in parti­colare quelle metalmeccani­che e tessili, erano all'altezza- e a volte superiori - a quelle del Nord. Soprattutto, le casse del­lo S­tato e la circolazione mone­taria erano più ricche che nel re­sto d'Italia messo insieme. Denaro, terre e industrie face­vano gola ai Savoia, molto me­no romantici di patrioti, il cui motto era: 'L'Italia è un carcio­fo da mangiare foglia a foglia.' Infatti l'ex Regno delle Due Sici­lie venne depredato di tutto: l'oro delle sue banche venne per lo più reinvestito al Nord, le industrie smantellate e trasferi­te più vicino alle Alpi; le terre, anche quelle sottratte al clero, non furono date ai contadini ­come aveva promesso Garibal­di - ma cedute a basso prezzo alla borghesia settentrionale o agli antichi feudatari divenuti improvvisamente filounitari. A rimetterci fu il popolo, che d'improvviso si vide sconvolta l'esistenza da invasori (i cosid­detti plebisciti furono una truf­fa di Stato) che imponevano re­gole e leggi tali da cancellare con un tratto di penna abitudi­ni secolari: basti pensare alla le­va obbligatoria imposta dal nuovo Stato. Fu così che nac­que il fenomeno sprezzante­mente definito 'brigantaggio'. Gli uomini che sono passati alla storia (per modo di dire, perché i testi di storia ne parla­no pochissimo) come 'bri­ganti', a volte erano veri ban­diti, ma oggi li chiamerem­mo partigiani. Fu una guerra civile, la lotta che si svolse fin dal 1860 fra 'i piemontesi' e decine di migliaia di contadini saliti sui monti e appoggiati da buo­na parte della popolazione. Il neonato Regno d'Italia, per stroncare la ribellione, dovette impiegare quasi metà dell'eser­cito e- dall'agosto del 1863- un provvedimento liberticida, la legge Pica, che metteva in stato d'assedio quasi tutto il Sud. Una legge che permetteva ai tri­buna­li militari di fucilare chiun­que senza possibilità d'appello e che - per la prima volta nella nostra storia - premiava i pre­sunti 'pentiti' con denaro e li­bertà facile. Solo così il fenome­no venne sconfitto, negli anni successivi. Nel frattempo, però, c'era sta­to un numero non calcolabile di morti (i documenti furono in gran parte distrutti). Fra i milita­ri, di certo, ci furono più caduti che i 7/8.000 di tutte e tre le guer­re d'indipendenza messe insie­me. Fra i 'terroni' si possono calcolare almeno centomila vit­time, fra morti in combattimen­to, in prigione, fucilati, per sten­ti e malattie. Le crudeltà, come in tutte le guerre civili, furono ef­ferate: se alcuni briganti mutila­vano i soldati e ne mangiavano il cuore, i soldati stupravano, saccheggiavano, esibivano le teste mozzate dei nemici. In­cendiavano paesi interi, come Pontelandolfo e Casalduni, completamente rasi al suolo per vendicare l'uccisione di 40 bersaglieri. E Pino Aprile non usa mano leggera, per un para­g­one con i metodi usati dai nazi­sti nella Seconda guerra mon­diale. Le conseguenze principali fu­rono sostanzialmente tre, a 'pa­cificazione' avvenuta. Prima di tutto, la spaventosa miseria del Sud, che tra fine Ottocento e ini­zio Novecento costrinse milio­ni e milioni di meridionali a emigrare in Europa e nelle Americhe. Seconda conse­guenza, una sorta di rassegna­zione rancorosa da parte dei conquistati, sintetizzabile con la frase: 'Ci avete voluto? Ades­so manteneteci.' Infine il bri­gantaggio - e il modo usato per combatterlo- rafforzarono a di­smisura mafia, camorra e 'ndrangheta. Oggi possiamo dire che an­che il meridione d'Italia ha fini­to - molto tardivamente - per trarre vantaggi dall'Unità. Ma non è possibile dire se, rimasto indipendente, avrebbe finito per somigliare più a uno state­rello balcanico o nordafricano, o sarebbe diventato una terra felice, con tutte le sue genti al so­le, con un'economia propria, il turismo e un ruolo rilevante nel Mediterraneo. Di certo, nascondere quel che avvenne non è servito a una crescita del Paese e della nostra coscienza nazionale: in quasi ogni famiglia del Sud si tramanda il ricordo di antichi lutti, di antichi soprusi subiti. E' per questo che il libro di Pino Aprile - che arriva come uno schiaffo in faccia a chiunque lo legga - ottiene tanto successo.

E' come svegliarsi e scoprire che l'incubo appena sognato era una realtà.

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