Quando nel pubblico si spende e si spande finisce sempre male

Caro dottor Granzotto, leggo su altro giornale, in un trafiletto, che la Regione Sicilia ha introdotto in finanziaria un tetto di 250mila euro all’anno alle pensioni dei suoi ex alti funzionari. Il fatto non rende onore e merito al governo isolano per due motivi: l’iniziativa è stata del Pd ed il tetto rimane stratosferico, se si pensa che finisce in tasca anche a gente che ha passato una vita da «scartoffiaro», senza lasciare un segno. Mi piacerebbe sapere quale sia la situazione nelle altre regioni, che intenzioni abbiano i nuovi governatori: magari «Il Giornale» ha dei dati, nel suo storico filone di tali inchieste?
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I dati non mancano, caro Fedato, e senza arrivare agli eccessi siculi si può tranquillamente affermare che il Palazzo con le sue dépendances insiste nell’essere magnanimo, diciamo pure principesco, con i suoi inquilini. Ciò che non solo grida vendetta al cospetto del cittadino, ma alimenta quella spesa pubblica i cui nodi, prima o poi, vengono al pettine e quando ciò accade a piangere siamo chiamati tutti.
È il caso della Grecia, del cui sconquasso si vorrebbe, assai ipocritamente, dare la colpa al mercato finanziario e alle sue speculazioni, ai cinici Gordon Gekko (lo ricorda? Il protagonista di Wall Street interpretato da Michael Douglas?) che giocano con i risparmi pubblici e privati e dunque con le ricchezze nazionali come noi giochiamo al Monopoli. Balle. La Grecia si ritrova con le pezze al sedere perché ha voluto indossare braghe di broccato, spendendo e spandendo al di là delle sue possibilità. Ovvero dilatando la spesa pubblica indebitandosi fino al collo.
Non so se anche laggiù gli alti funzionari delle amministrazioni locali se ne vadano in quiescenza con pensioni siciliane, cioè da Paperon de’ Paperoni, però è assai probabile, visto l’andazzo. Che è ben rappresentato dal caso di quell’isoletta con quattrocento abitanti, una scuola con quaranta alunni e dodici insegnanti, dei quali cinque di educazione fisica (o di educazione motoria, come oggi bischeramente la si chiama nel Belpaese). Insomma, dopo aver per anni gonfiato gli organici degli uffici pubblici, dopo aver concesso privilegi economici a pioggia per ridare «il sorriso alla Grecia», dopo anni di menzogne e di conti pubblici imbellettati all’insegna del tutto va ben, madama la marchesa, è successo quel che doveva succedere: il collasso. Che poi la speculazione ci abbia inzuppato il pane, nei guai greci, questo è certo. Ma la colpa, semmai, è di chi ha creato le condizioni per poterglielo far fare.
Tutto questo per dire, caro Fedato, che le finanze allegre come quella siciliana non sono solo indegne moralmente, premiando una casta di scartoffiari, come lei li chiama, che poco si merita per poco aver meritato. Ma dai e dai mettono a repentaglio tutti noi e i lavoratori dipendenti in particolare perché - vedi appunto il caso della Grecia - i più colpiti dalle inevitabili drastiche misure di austerity. Purtroppo, anche dalle nostre parti sono in pochi a resistere alla tentazione, elettoralmente assai pagante, di far ritornare il sorriso a questi o quelli.

Uno dei pochi è Giulio Tremonti, ferocissimo cane da guardia dei conti pubblici. E infatti è universalmente considerato un antipatico, perché non sgancia, perché nega quel sorriso che tutti sanno, facendo finta di non sapere, che precede immancabilmente le lacrime. Amare.

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