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Quando Panatta sfidò Pinochet con una maglia rossa

Il Cile resta uno dei capisaldi della storia del tennis italiano. Trentacinque anni fa, sabato 18 dicembre 1976, gli azzurri a Santiago conquistavano per la prima e unica volta la magica insalatiera della coppa Davis: in questo week-end l’Italia vincendo il play-off con i cileni rientrerebbe nell’elite delle squadre nazionali. Si torna a Santiago nel ricordo più bello ma anche più sofferto della nostra storia tennistica. Allora c’erano Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli; il capitano era Nicola Pietrangeli, che da giocatore aveva guardato da vicino l’insalatiera nelle finali perdute nel 1960 e 1961 sull’ erba australiana. La squadra s’era qualificata battendo Polonia, Jugoslavia, Svezia, Inghilterra ed Australia.
Un ricordo entusiasmante nato nell’incertezza, non per le difficoltà dell’ incontro, il Cile di Jaime Fillol e Patrice Cornejo non poteva competere tecnicamente con i nostri, quanto per l’intromissione della politica, non solo di quella italiana patrocinata dal centro-sinistra. Tre anni prima il golpe militare contro Allende aveva portato al potere la giunta del generale Pinochet. Tre anni di severa dittatura, terrore e migliaia di desaparecidos. Proprio per tale situazione l’Urss aveva rinunciato a giocare la semifinale contro il Cile e andammo a Santiago anziché a Mosca. Il centrosinistra italiano con insistenti interventi parlamentari e con notevole appoggio mediatico voleva che si rinunciasse, imitando i sovietici. Due anni prima, in pieno Apartheid, era stata l’India a rinunciare alla finale di Davis contro il Sudafrica. La federazione italiana sosteneva la preminenza dei valori sportivi su quelli politici ma aspettava un segnale forte dal governo. I giocatori ci tenevano all’insalatiera, l’occasione era troppo invitante per lasciarsela sfuggire. Entrare nella storia. Il Coni restò a lungo incerto.
Alla fine si andò a Santiago, per conquistare la coppa. Quasi in modo clandestino. A Santiago erano state adottate estreme misure di sicurezza, sembrava che tutto funzionasse con la massima tranquillità, la vita di tutti i giorni nascondeva il pugno della dittatura. A ricordarci che molto era artefatto c’erano la costante sicurezza attorno alla squadra italiana e il coprifuoco, per l’occasione ridotto di un’ora, che scattava alle 23.
Il Cile non fu mai in partita. Barazzutti, numero 22 nella classifica mondiale, superò in quattro set Fillol, il migliore dei cileni; Panatta, numero 7 al mondo e vincitore a Roma e Parigi, lasciò sette games a Cornejo. La Davis si tingeva d’azzurro. Sabato 18 Panatta-Bertolucci conquistavano su Fillol-Cornejo il punto decisivo. A sorpresa la coppia italiana, l’idea fu di Panatta, giocò indossando magliette rosse: uno sgarbo al regime di Pinochet, diventato in seguito addirittura un film. L’Italia aveva conquistato la Davis, ma pochi italiani lo sapevano: la Rai per decisione politica non trasmise la finale. Al rientro pochi intimi all’aeroporto. Una Davis quasi clandestina. Ma fu boom del tennis, legittimato anche dalle finali perse a Sydney, San Francisco e Praga.
Poi il declino, l’unico lampo azzurro la finale milanese persa con la Svezia a fine secolo e altri dieci anni di anonimato.

Da domani Barazzutti, stavolta da capitano, dovrebbe festeggiare il rientro nel tabellone mondiale che, visti i tempi, vale una piccola insalatiera.

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