Quando spacciano il «frescacciume» per arte

Caro Granzotto, le allego la copia di una pagina del quotidiano locale «Alto Adige». Il 24 maggio, in città, è stato inaugurato il «Museion»; alla cerimonia hanno partecipato con entusiasmo 6mila persone. Il costo di quest’opera si aggira sui 30 milioni di euro (più i costi della gestione annuale) dei contribuenti. Il biglietto di presentazione è «il Ranocchione verde crocefisso». Non mi riesce di fare commenti, ma mi chiedo: dove vai, Bolzano? Wohin gehst du Bozen?


Lasci che spieghi ai lettori, caro Gazzotti, di cosa stiamo parlando: a Bolzano è stata inaugurata un’area espositiva chiamata Museion. Così descritto da Laura Larcan, cronista della Repubblica: «Un monumentale cubo giocato sul dialogo disinibito tra vetro e acciaio, una struttura totemica. (...) Trasparenze e cortine, spiritualità e materialità, anima e scheletro, dionisiaco e apollineo, in un solo cubo». Questo per dire che schifezza è il Museion, costato 30 milioni di valuta comunitaria (non posso più scrivere, come mi piace scrivere, «euri» perché mi viene subito corretto in «euro». E oscarluigiscalfaronamente, non ci sto). Bene, per il debutto di quel museo del cubo la direttrice, la svizzera Corinne Diserens, ha messo su una mostra chiamata «Sguardo periferico e corpo collettivo» la cui «mission» è di «esplorare la concezione e l’utilizzo del “corpo collettivo” come strategia critica, mediante la quale viene indagata l’eredità della nostra storia recente». E questo per dire che al frescacciume non c’è mai limite. Ma andiamo avanti: per indagare in lungo e in largo l’eredità della nostra storia recente, s’è pensato bene di porre all’ingresso di quel museo del cubo un’opera del defunto Martin Kippenberger, detto anche «l’Andy Warhol tedesco», come se non ci fosse bastato quello americano. Rappresenta un ranocchione, un rospo verde che ghermisce un uovo nella zampaccia di sinistra e un boccale di birra in quella di destra, inchiodato alla croce. Nella postura del Cristo.
Dicono che sia arte e se lo dicono loro, se lo dice Corinne, se lo dice l’assessore provinciale alla cultura Sabine Kasslatter Mur, io ci credo. Se è per questo, qualche tempo fa, sempre a Bolzano, venne eseguito «Fratelli d’Italia», bruttino quanto si vuole ma pur sempre l’inno nazionale, con in sottofondo il rumore d’uno sciacquone. Spiegarono poi che trattavasi di mero effetto sonoro. Non c’era ragione di dubitarne. Resta però il fatto che a differenza di quanto si vorrebbe imporre, «effetto sonoro», così come «arte», non sono paroline magiche che hanno il potere di rendere accettabili, di rendere moralmente lecite le canagliate, le porcherie, le scellerataggini. Le blasfemie. Tant’è che se un pittore dovesse riprodurre una svastica di tre metri per quattro, arte o non arte sarebbe messo immantinente al muro. Non posso dirle, caro Gazzotti, dove sta andando la sua Bolzano. Per ora si diverte a ballare la rumba sul crocefisso. Domani si vedrà. Resta una considerazione, da fare: mai che questi grandi artisti si ispirino, per le loro opere dissacranti, all’Islam, a Maometto o al Corano. A fare le spese della loro creatività è sempre Gesù Cristo.

Un’altra prova provata che il «dialogo» serve a un tubo, mentre servono eccome le maniere forti, le minacce di fatwa che, venendo dai cari fratelli musulmani, non è che lasciano il tempo che trovano. E la paura fa, anche alle Corinne, anche alle Sabine, al fu Kippenberger, novanta.

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