Ma quante trappole si nascondono tra i banchi

Milena ha ancora da qualche parte la foto della II A. O forse ce l’ha Federica, ma tanto cosa importa, nessuno dimentica i volti dei compagni di classe. E ti ricordi quella mattina? Erano scocciate da matti perchè la prof di tedesco per punirle del ritardo le aveva fatte sedere in prima fila, davanti a lei, loro che s’imboscavano con l’altra Federica e Daniele negli ultimi banchi, per ridere tante volte di nascosto o per dividere la focaccia. Sono rimasti amici dopo più di venti anni, ora che Milena lavora in banca e Federica ha un negozio di abbigliamento, si ritrovano almeno una volta tutte le settimane, ma solo loro però di tutta la classe. Perchè gli altri non ci sono più. Uccisi quella stessa mattina, il 6 dicembre 1990, da un aereo Mb 326 Macchi dell’Aeronautica militare finito in avaria durante un’esercitazione che si infilò nella finestra dell’aula della II A dell’Istituto «Salvemini» di Casalecchio. Il destino se li è portati via lasciando al buio i loro visi e le loro storie. Si salvarono solo quelli seduti nelle prime file. E la prof di tedesco. Il fatto di essere vivi in fondo è di per se inspiegabile.
Dovrebbe essere il posto più sicuro, metti il bambino lì e non ci pensi più, sono fuori i pericoli, è la strada il nemico. Invece anche la scuola uccide, perchè ogni posto in fondo è uguale a un altro, perchè in questo mondo la morte si da come si da la vita senza una ragione, nè un motivo. Si muore come Vito Scafidi, quarta G, Liceo Darwin di Rivoli Torinese, perchè ti crolla il controsoffitto addosso. Era l’intervallo, ma lui era rimasto in aula: chissà perchè. Adesso a Sangano c’è un liceo, nuovissimo, che porta il suo nome. Si muore come Monica, 16 anni, terza C, Magistrali Erasmo da Rotterdam di Sesto San Giovanni, con una coltellata secca alla giugulare, uccisa da Roberto, suo compagno di classe, perchè erano fidanzati ma lei non lo voleva più. Avevano tutti e due bei voti a scuola, ragazzi come tanti con i sogni di tutti. Si muore come Miriam Monsonego, otto anni, inseguita fin dentro il cortile della scuola ebraica Ozar Hatorah, nordest di Tolosa, e freddata con un colpo alla testa da Mohammed Merah, in nome di una guerra santa all’incontrario che ammazza angeli e nutre i peggiori demoni che ti porti dentro.
La scuola è per definizione «un luogo aperto, libero e sicuro», dice Profumo, le amicizie più forti, quelle che non ti lasciano mai nascono tra i banchi, si diventa grandi a scuola, si cambia insieme, si ama forse come non amerai mai più. Ci si ritrova magari molti anni dopo completamente estranei ma così incredibilmente familiari. Come fai a non fidarti della scuola? Come fai a non sentirti al sicuro? Eppure in America la scuola ci mette un attimo a diventare Afghanistan. Da quando in un liceo del Colorado due ragazzi della classe accanto fecero a pezzi per sempre l’immagine di tranquillità e sicurezza dei campus, l’innocenza di una nazione e i corpi di dodici compagni, finiti a colpi di fucile a pompa. Cinque morti nella Northern Illinois University, cinque alla Nickel Mines di Lancaster, trentadue a Virginia Tech. Poi in Ohio, in Wisconsin, in California, ma anche sedici bambini uccisi in classe a Dunblane, in Scozia, quattordici a Erfurt in Germania, nove a Kauhajoki, in Finlandia. Quasi sempre è uno studente, quasi sempre si suicida, quasi sempre non si sa perchè lo fa. Perché è stato bocciato, perchè è stato espulso, perchè non è stato capito. Come a Brindisi. O forse no.
Da scuola non torni come gli angeli di San Giuliano di Puglia, la «Francesco Iovine», materna, elementare e media: 27 bambini e una maestra sepolti dal terremoto, fu l’unico edificio a crollare mentre tutto il paese rimase in piedi, come un fulmine caduto solo lì. Erano tutti al sicuro tranne quelli a scuola.

Alla condanna dei colpevoli i genitori dei bambini piangevano, meno uno, il sindaco, condannato a vita più che dal tribunale, dalla morte della sua bambina, rimasta anche lei sotto le macerie. Prima o poi si impara che non c’è scampo alla vita.

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