Quegli immobili da 500 miliardi che lo Stato non riesce a vendere

Il patrimonio c’è, ricchissimo e poco valorizzato. Lo Stato, poi, è un pessimo padrone di casa e finisce per spendere il doppio di quanto incassa dai suoi immobili e quindi ha tutto l’interesse a vendere. Ma il mattone di Stato è anche inafferrabile, disperso in mille rivoli ed è in larga parte sconosciuto persino al «proprietario», tanto che per rimediare già da qualche anno è iniziato un censimento «a prezzi di mercato» che ancora non ha dato risultati definitivi. Una recente indagine conoscitiva della Camera ha anticipato qualche dato e stima.
Si calcola che siano circa mezzo milione le unità immobiliari pubbliche, per un valore tra 240 e 320 miliardi di euro ai quali vanno aggiunti i terreni. Sono oltre 13 miliardi di metri quadrati e possono valere fino a 50 miliardi. Il conto potrebbe salire, e di molto. Recentemente è stata fatta la cifra di 500 miliardi di euro, comprendendo gli edifici dell’amministrazione centrale, quelli delle autonomie locali e degli enti pubblici in generale. La fetta più consistente, circa l’80%, è proprio quella in mano agli enti locali, in particolare dei piccoli comuni. La palla, quindi, è in mano a sindaci, presidenti e governatori che dovrebbero dare un contributo nell’individuare le loro proprietà immobiliari. Difficile convincerli, come dimostrano le resistenze da parte delle autonomie locali al censimento (prima delle ferie avevano risposto solo un’amministrazione su quattro). Il fatto è che hanno tutto l’interesse a restare nell’ombra e gestire direttamente eventuali dismissioni, magari per ridurre il loro debito. Il governo, d’altro canto, non ha intenzione di appropriarsi dei loro beni, soprattutto alla vigilia del federalismo.
Oggi è in programma il seminario organizzato al ministero del Economia con il premier Silvio Berlusconi. Giulio Tremonti proverà a mettere in moto la macchina, cercando di coinvolgere gli unici soggetti che potrebbero garantire entrate consistenti in tempi relativamente brevi, cioè i grandi investitori: banche, fondi di investimento e fondi immobiliari, italiani e stranieri. Sarà l’occasione per quantificare gli edifici realmente disponibili: dalle parti del ministero dell’Economia era stato stimato che un 40% dei 500 miliardi di euro complessivi, potrebbero andare sul mercato senza troppi problemi. Se così fosse potrebbero essere messi sul mercato asset pubblici per 200 miliardi e quello del governo Berlusconi diventerebbe il piano di dismissioni più importante della storia repubblicana. Ma il conto potrebbe anche assottigliarsi, rendendo impossibile il sogno di chi vuole abbattere il debito pubblico sotto quota 100% del Pil solo ricorrendo alla dismissione del mattone di Stato.
Che l’Italia sia comunque all’alba di una nuova stagione per gli immobili pubblici lo dimostra, oltre al seminario di oggi, l’attivismo di Ignazio La Russa, ministro di un dicastero, quello della Difesa, che è sempre stato molto geloso delle sue proprietà. Questa volta sembra che qualcosa stia veramente cambiando. La Russa sta preparando un fondo immobiliare al quale affidare caserme, fari e altri edifici, non più strategici. Nel caso della Difesa, c’è già una stima di quanto potrebbe entrare nelle casse dello stato. Un miliardo di euro in tre anni, solo dalla vendita di fari e caserme. Circa 400 caserme sono già state trasferite al demanio. Si tratta di edifici con alte potenzialità turistiche, in particolare i fari. Ma la possibilità per lo Stato di fare un buon affare è legata al cambio di destinazione d’uso degli immobili. Anche in questo caso le chiavi degli immobili di stato le hanno i sindaci. Una norma voluta da La Russa prevede comunque che il ministero si possa accordare con i comuni e le regioni per valorizzare gli immobili della Difesa, anche cambiando la destinazione d’uso. Sempre il ministero della Difesa, è impegnato proprio in questi giorni sul capitolato della gara che servirà ad individuare le società di gestione del risparmio che si occuperanno degli immobili vendendoli, valorizzandoli oppure cedendoli in cambio di altri beni e servizi. Anche il ministero dell’Economia dovrebbe seguire lo stesso metodo.
La vendita delle singole unità immobiliari, strada scelta nell’ultima stagione di dismissioni, ha portato alle casse dello stato meno di 15 miliardi di euro. Adesso l’intenzione è di cercare di vendere in blocco. Magari tramite società costituite ad hoc, controllate dallo Stato.

Invece di vendere singoli lotti, in vendita finirebbero le stesse Spa. Al Tesoro arriverebbero risorse consistenti e in tempi brevi per abbattere il debito. E lo Stato si libererebbe di un capitale che, invece di fruttare, costa.

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