Quei fondi Ue usati per comprare F1 e yacht

Paolo Bracalini

È proprio la Calabria la regione al primo posto in Italia per frodi all’Unione europea. La regione è diventata terreno di caccia per truffatori e clan specializzati nella «distrazione» dei fondi comunitari. Finti imprenditori (anche in trasferta dal Nord Italia) che con fatture false e documenti taroccati intascano ogni anno i milioni che Bruxelles elargisce a piene mani per le aree meno sviluppate dell’Europa. Quelle cosiddette a Obiettivo 1, che avendo un reddito pro capite inferiore alla media Ue godono di particolari privilegi e benefici fiscali (ma dal 2013 il Mezzogiorno italiano non rietrerà più in questa categoria). Dal 2000 in Italia sono piovuti dall’Europa quasi 2 miliardi di euro. Un bottino su cui si sono tuffati anche i truffatori di professione.
In Calabria nel 2005 sono spariti quasi 118 milioni di euro di finanziamenti Ue, più di un quarto del totale nazionale. Solo a Catanzaro sono stati «congelati» appena in tempo dalla Guardia di finanza 81 milioni che stavano per finire nelle tasche di un’organizzazione criminale. Nella piana di Gioia Tauro, a leggere le cifre incassate per finanziare le nuove imprese, dovrebbero esserci già 57 stabilimenti in funzione e almeno 1600 operai al lavoro. In realtà di fabbriche ce ne sono 6 e di operai neanche 200.
Ma la Calabria è maglia nera in un Paese che, per regolarità col bilancio Ue, non brilla affatto. Nelle truffe sui fondi strutturali il nostro Paese è al primo posto in Europa. In totale nel 2005 l’Italia, tra aiuti sottratti e fondi richiesti indebitamente, ha raggirato le casse europee per 418 milioni di euro. Quasi 800 persone denunciate e otto arrestati. Nei primi sei mesi del 2006, calcola la Guardia di finanza, sono «spariti» oltre 149milioni di euro di aiuti. Altri 93 milioni sono stati indebitamente chiesti da finte imprese e furbi di vario genere, e poi bloccati in extremis dalla Gdf. La Corte dei conti ha calcolato che le frodi a danno dell’Unione europea in Italia nel 2005 si sono triplicate rispetto solo a due anni prima.
Il dossier raccolto dai militari è un ricco catalogo dell’italica arte di arrangiarsi. Un dentista di Cosenza con i fondi Ue si è comprato una Ferrari Testarossa gialla e una formula Uno, parcheggiate nel garage insieme ad altre 55 auto di lusso acquistate inventandosi un’azienda di pannelli solari che non ha mai visto la luce del sole. C’è poi chi si è comprato un panfilo con i fondi destinati al recupero zootecnico di un terreno. Altri hanno versato direttamente i fondi europei sul proprio conto corrente. Altri ancora hanno preso i soldi e sono spariti.
Costoni di roccia e dirupi, sentieri di montagna e persino una vecchia miniera, spacciati per pascoli in modo da ottenere i finanziamenti che l’Ue riserva all’agricoltura. Ad aprile il Corpo Forestale dello Stato ha smantellato un’associazione di 27 persone che in due anni ha incassato 4 milioni e mezzo di euro. Scoperta grazie ad un controllo casuale in un’azienda agricola che aveva ottenuto i fondi. La «dichiarazione di disponibilità dei terreni» - il documento che permette di calcolare il rapporto bestiame/pascolo previsto dalle norme e che determina l’ammontare dei finanziamenti - erano falsi, in questo come in altre decine di casi simili. I terreni sono in realtà molto più piccoli di quanto certificato, o spesso non esistono neppure.
Frequente è il trucco della «finta azienda». Basta avere le carte a posto, la fortuna di non ricevere controlli e un buon amico in qualche giunta regionale, per ingannare i funzionari e incassare gli aiuti «a fondo perduto per l’avvio di nuove attività produttive», previsti dalla legge del ’92. Un pool di falsi imprenditori di Brescia e Ravenna si è fatto così finanziare una ditta di accessori per auto per 50 milioni di euro e grazie a false perizie ha spacciato dei vecchi arnesi per macchinari appena comprati. Dei 122 impiegati che dovevano essere assunti ne risultavano in realtà solo 12, tutti complici del clan dei truffatori. Un altro finto manager ha preso i soldi per avviare un’azienda che doveva dare posto a 248 dipendenti, a Crotone, ma dello stabilimento c’è solo la prima pietra. Poi c’è il gioco delle tre carte.

A fine 2005, dalle parti di Amantea, i finanzieri hanno sequestrato un impianto per la produzione di soia testurizzata, surrogato della carne da esportare in Africa. Ma una volta approvato il progetto e ricevuti i fondi gli amministratori dell’azienda li hanno usati per aumentarsi il capitale sociale.

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