Ha ragione Adriano Celentano. Non si può invocare la libertà di parola e la libertà di opinione, garantite dalla Costituzione e negate dal Fascismo, per poi rimpiangere la censura e commissariare chi ha detto cose non gradite. Le garanzie per Celentano non erano soltanto nei principi fondanti la nostra democrazia, ma anche nel contratto di cui si è tanto parlato, per i compensi (discutibilissimi, come anche la loro destinazione in beneficenza), ma non per il presupposto che sembrava indiscutibile trattandosi di lui: dirà, ovviamente, com’è giusto e com’è del personaggio, quello che vuole.
Non ho letto nessuno discutere questo principio. Lo stesso Morandi, interrogato qualche ora prima dello show, ha detto di non sapere nulla di ciò che avrebbe detto o fatto Celentano, al di là della scenografia con gli effetti teatrali di un bombardamento. Metafora convincente, comunque, nonostante la realizzazione. Dalla distruzione di tutto, anche dei valori, dalla tabula rasa, si comincia a ricostruire. I mattoni, e i principî, sono ovviamente quelli di Celentano, Re (anche se degli ignoranti) a cui si dà, o che si è conquistato, carta bianca. E, sembra un paradosso, Celentano inizia attaccando i valori e i simboli notoriamente più cari al Direttore Generale della Rai che ha stabilito il contratto con Lui: la Lei.
Qui posso essere testimone di una discriminazione. Appena arrivata al vertice della Rai, la Lei, mia buona amica, si trovò a dover prendere sotto diretta tutela il programma che io stavo da mesi preparando per Rai Uno nel rapporto esclusivo con Mauro Masi, allora direttore generale, con il quale avevo concordato tutto. Oltre alle questioni della messa in onda, della diretta o della registrata del titolo (ci fu interdetto l’uso de Il mio canto libero, per evitare discussioni con la vedova di Lucio Battisti), il nodo fondamentale sembrava essere per la Lei l’argomento della prima (e unica) puntata: Dio. Non ci fu verso: dopo mesi di preparazione, per evitare rischi derivanti dal mio insondabile (e forse, per alcuni) prevedibile pensiero, avendo filmati, contributi, ospiti (tra i quali il teologo Matthew Fox che era già stato invitato e che sembrava non gradito alla Santa Sede, con grave preoccupazione della Lei) repertorio iconografico, fummo costretti a cambiare argomento. Non nominare il nome di Dio invano. Ripiegammo su un tema affine: il Padre. Altri ospiti. Altre immagini, altri contributi. Tutto rivoluzionato per decisione del direttore generale.
Con Celentano, come sappiamo, è andata in un altro modo. Nessuno gli ha chiesto niente. E nessuno ha pensato di impedirgli argomenti e anche polemiche personali (vedi quella con Aldo Grasso e, come afferma il direttore dell’Avvenire Tarquini, anche con i giornali cattolici che lo hanno criticato, a cui si contrappone con contestazioni sui principî generali).
Ma era difficile immaginare che egli se la prendesse con le due più importanti istituzioni italiane, la Chiesa e la Consulta. Credo che la Lei non potesse neppure immaginarlo. Eppure, al di là di ciò che ognuno può pensare, è assolutamente logico e giusto che Celentano (e lo stesso Morandi), in finto contrasto nel patetico siparietto con Pupo, attacchi la Consulta, come hanno fatto importanti esponenti Democratici, da Di Pietro a Parisi, già ministro dell’Interno, e perfino illustri costituzionalisti. Un’opinione, legittima. Ma che soddisfazione sentire Celentano che dice le stesse cose di Berlusconi nel giorno in cui la Consulta boccia il Parlamento sul «Caso Ruby»!
Dunque, Celentano, nell’era Monti, indirettamente attacca la Lei e difende Berlusconi. Ancora. È noto il sistematico attacco al precedente capo del Governo e ai suoi comportamenti pubblici e privati da parte di Famiglia Cristiana.
E Celentano che dice? Una cosa logica: «Giornali inutili, come Avvenire e Famiglia Cristiana, andrebbero chiusi definitivamente: si occupano di politica e delle beghe del mondo». Apriti cielo! Immaginate se lo avesse detto Berlusconi. Eccolo vendicato.Viva Celentano, il vendicatore, Re degli uomini liberi. Di dire anche cazzate.
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