In apertura va fatta una precisazione. Stimato e ammirato a livello internazionale, il ministro dellEconomia Giulio Tremonti ha dimostrato davvero talento e capacità nellevitare il default del Paese al cospetto della più grave crisi economica dellultimo secolo. Dietro la scrivania che fu di Quintino Sella, il numero uno di Via Venti settembre è stato molto bravo nel tenere sotto controllo i conti pubblici, nel segno della stabilità e del rigore. Anche se laltroieri, allassemblea degli industriali di Brescia, ha onestamente ammesso che non si è trattato di un mero esercizio contabile: il sistema ha tenuto per merito delle famiglie, dei comuni, degli imprenditori e dei lavoratori. E qui sta il punto.
Tra il primo e il secondo turno della tornata amministrativa è stato presentato il Rapporto annuale dellIstat, relativo alla situazione del Paese nel 2010. Superato il picco negativo della crisi, lanno scorso doveva esserci la ripresa. E tuttavia, dal Rapporto emerge che leconomia italiana è quella cresciuta di meno, a livello europeo, nellultimo decennio, con un tasso medio annuo dello 0,2 per cento. Nel solo 2010, è cresciuta dell1,3 per cento, contro l1,8 della media europea.
Quasi il sessanta per cento del Pil - cioè del fatturato del Paese - era ed è garantito da unarea della valle del Po che va dal Piemonte orientale sino al Veneto, dalla fascia subalpina sino allEmilia. È unarea caratterizzata dalla diffusa presenza di piccole e medie imprese (il 95 per cento ha meno di 15 dipendenti), in prevalenza del settore manifatturiero.
La questione settentrionale - così come sè imposta nel dibattito pubblico e nelle dinamiche della politica sin dai primi anni Novanta, anche se le sue origini sono da rintracciare, per la verità, una ventina danni prima, verso la metà degli anni Settanta - ha una sua rappresentazione diretta nellorientamento del voto. Questarea ha infatti sempre guardato al centrodestra, alla Lega - che per prima ne rappresentò le istanze e ne tutelò gli interessi - e al Pdl, per chiedere modernizzazione, cioè produzione e sviluppo.
Nel 2010, il Pil della Lombardia e del Veneto è calato, nel complesso, di quasi sessanta miliardi di euro. La flessione ha colpito in prevalenza il settore manifatturiero, appunto. Ma nella Padania che lavora, produce e paga le tasse, il centrodestra si rivolge proprio a questo settore di piccola e media impresa per raccogliere consenso. Si tratta di un settore per il quale non è stato fatto nulla in tempi recenti, a livello di politiche pubbliche. Gli imprenditori e gli operatori delle Pmi non si sono pertanto sentiti protetti da quelle formazioni politiche nate allo scopo di rappresentarne e, soprattutto, tutelarne gli interessi organizzati a livello territoriale.
Pdl e Lega dovrebbero riuscire a tornare presto a parlare - con qualche segnale immediato e riforme rapide, efficaci e concrete - a questi segmenti dellelettorato per recuperare la china e richiamare i voti dispersi nella circostanza di queste amministrative. La flessione infatti si spiega semplicemente con il Rapporto annuale dellIstat e gli indicatori - assai preoccupanti - provenienti dal Nord. È giusto puntare ai posti di potere nei consigli di amministrazione e nelle fondazioni, ma i voti non provengono da qui; provengono piuttosto dagli imprenditori e dai lavoratori.
Per la verità, limpressione è che la Lega abbia pagato il pedaggio, oltremodo oneroso, del declino del Pdl. Emblematico - sia detto per inciso - è il caso di Varese, dove Attilio Fontana è stato costretto al ballottaggio per la flessione di oltre dieci punti dellalleato. E questo peserà negli equilibri interni alla coalizione. Per ora - in base alle dichiarazioni dei protagonisti - non succederà nulla. Ma tra il 2 e il 19 giugno qualcosa potrebbe succedere. Alla festa della Repubblica, interverrà il presidente Napolitano. E la Lega ha tutto linteresse a coltivare il rapporto stretto con il Quirinale, perché il Presidente è il garante del federalismo.
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