Quel «Flauto magico» entusiasma il Regio

Un bellissimo allestimento con la direzione del giovane Spinosi

Alberto Cantù

da Parma

Bene. Adesso «Parma capitale della musica» potrà dedicarsi a Benjamin Britten, uno fra i più straordinari compositori del Novecento, con due lavori, appunto, d’eccezione quali il War Requiem e l’opera Il Giro di Vite. Quell’«adesso» vuol dire che anche Parma ha pagato il suo debito, per così dire, all’inflazionato 250° di Mozart. Ma non s’è trattato di un assegno in bianco, perché il sovrintendente Meli è andato a ripescare Il Flauto Magico in un bellissimo allestimento nato dodici anni fa proprio a Parma e che, con la direzione di quel Gardiner oggi di stanza alla Scala per Katja Kabanova prossima ventura, girò anche a Ferrara e Cagliari.
Dire che quella vista al Teatro Regio è la Zauberflöte ideale sarebbe porre limiti alla Provvidenza. Certo capita di rado una drammaturgica così asciutta eppure coinvolgente come quella messa in campo dal regista Stephen Medcalf che spoglia la musica di quasi tutti gli elementi (restano al proscenio i simboli-strumenti dell’opera: il flauto di Tamino, i campanelli di Papageno, il ritratto anzi la cornice di Pamina eccetera) mentre i costumi anzi abiti di Romeo Gigli scongiurano lo stile «cioccolatino di Mozart». A fare drammaturgia plastica e dinamica, con «scene viventi» e coreografia di Michael Tracy, sono poi gli artisti prodigiosi del Pilobolus Dance Theatre: il serpente come viluppo di corpi tatuati, le porte del tempio quali archi umani pronti a mutarsi in un no frontale di volti e mani, i desideri carnali di Papageno tradotti sensualmente dai mimi-atleti-ballerini in una dimensione spaziale che non è di nessun mondo.
Aggiungete un direttore musicalissimo, il trentacinquenne Jean-Christophe Spinosi che ottiene il meglio possibile dal coro e ricava dall’orchestra suoni leggeri e ricchi, un formidabile scatenamento dell’azione o un trepido avvolgere il canto più quell’ariosità che è davvero mozartiana. Tamino è un tenore di casa nostra, nato per il palcoscenico e di grande futuro: Giuseppe Filianoti. Pamina ancora un poco acerba ma già notevole per caratura vocale e psicologica, è un’altra cantante del Belpaese: Daniela Bruera.
Le tre Dame sono un prodigio attoriale - l’assedio erotico di Tamino - ben provvisto nel canto: la Von Walther, la Von den Steinen e la Jahns. Stephan Genz è tra i migliori Papageno d’oggi così come Matthias Hölle non teme confronti nel disegnare la nobile eticità di Sarastro. E via lodando il cast nella sua interezza. I più applaudono con calore e soddisfazione.

Qualcuno «bua» dimenticando che le Regine della Notte - qui troviamo Cornelia Götz che non è affatto male - che le Astrifiammante con acuti forti come l’acciaio e morbidi come seta non esistono più. Si replica fino a giovedì e vale la trasferta.

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