In una situazione drammatica, colpisce il senso di responsabilità dei sindacati riformisti come Cisl e Uil che resistono a qualsiasi tentazione di defilarsi nella protesta e reggono il confronto su temi come la gestione «concordata» dei licenziamenti a livello aziendale, pur registrando qualche mal di pancia anche nelle loro organizzazioni, per esempio nella Fim-Cisl. Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti non sono «remissivi», non assolvono i limiti dell’azione né del governo né più in generale della politica nazionale. Quando si tratta di valutare provvedimenti come accelerazioni della riforma delle pensioni (che in sé è stata ormai impostata per entrare a regime in qualche anno con equilibri anche più efficienti di tanta parte del resto dell’Europa) né Bonanni né Angeletti sono indifferenti alle reazioni di una base provata dalla crisi: la regola di evitare improvvise tensioni sociali è seguita con scrupolo.
Ma l’assenza di remissività non è cedimento a movimentismi senza razionalità. Come nel migliore sindacalismo occidentale, da quello americano a quello tedesco, sono consapevoli che nell’era di globalizzazione e delocalizzazioni (il caso Fiat spiega bene le dimensioni del rapporto nazionalità-globalizzazione imprese oggi), la questione non sia alimentare conflitti ma - senza dimenticarsi la contrattazione che resta fondamentale - costruire una collaborazione tra lavoratori e proprietà per fare gli interessi di quel soggetto - al di là del capitale - dotato di una sua identità che è l’impresa. Trovare un modo concordato, senza «mani libere padronali», dei licenziamenti innanzi tutto nelle aziende in decollo e in crisi è la base non solo per rilanciare la produzione, ma anche per definire relazioni industriali moderne.
Questa concezione realistica è alla base della fondazione dei sindacati riformisti, ma è seguita con particolare coerenza da qualche tempo: non stupisce dunque la non adesione al solito confusionario sciopero generale della Cgil, l’ennesimo «solitario» da quando si è affermata prima con Epifani e poi con la Camusso la linea del «tanto grigio, tanto meglio». Non c’è più neanche l’epica rabbia di un Cofferati che con le sue manifestazioni scuoteva i governi: c’è la paura che gli estremisti della Fiom-Cgil acquisiscano troppo spazio nell’organizzazione, che vi siano scosse in nomenklature ormai sempre meno capaci di elaborazione. Tutto ciò amareggia, ma questa deriva non stupisce.
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