Politica

Quel Nord Est che non ha più identità

Lo scrittore veneto Marinelli invia una lettera aperta a Berto, l'autore del "Male oscuro" che per primo descrisse il fenomeno settentrionale: "Il teorema catto-comunista sta cercando di cancellare la nostra cultura"

Caro Giuseppe Berto, qui le cose vanno male. Sempre peggio. E non mi riferisco tanto al fatto che in libreria praticamente non esisti più, se non nella dozzinale, becera forma di libri tascabili dalle orride copertine (l’ultima edizione di Anonimo Veneziano sembra un souvenir per anziani tedeschi, tanto è disprezzabile, sconcertante, «anonima» - scusa il gioco di parole che non vuole suonare come un dileggio - quella punta di gondola dispersa nella laguna); le cose vanno male perché tu che dovevi essere e rappresentare la punta di diamante, il prezioso tesoro, l’insostituibile radice dove poggiare la cultura del nostro tanto caro Nord Italia, sei stato rimosso, cancellato, travolto dal gioco al massacro che dal Dopoguerra in poi, le cosiddette capitali della sotto cultura italiana hanno ordito con mirabile, diabolica efficacia; eclissare gli intellettuali del Settentrione (tranne nei casi in cui la loro opera fosse funzionale al teorema catto-comunista che vedeva nel Nord solo la terra dei Padroni, della borghesia viziosa e viziata; l’incarnazione impietosa del ciclo produttivo, del motore economico capace unicamente di creare ricchezza e povertà, imprenditori e sottomessi, arricchiti analfabeti e schiavi da liberare magari attraverso i libri di Moravia che stanno per grandezza alla tua opera come il mio membro sessuale sta a quello di Rocco Siffredi).
Non che i tuoi concittadini si dannino l’anima per ribellarsi, per rialzare la testa; tranne qualche eccezione (un premio a te dedicato nella tua cittadina natale, un folgorante saggio di Saveria Chemotti sui tuoi Scritti dispersi, il lavoro incessante dei tuoi amici Pullini e Cibotto che cercano di preservarti dall’oblio, e alcune recenti righe a te dedicate dalla penna di un dolcezza sferzante di Ferdinando Camon nel suo ultimo Tenebre su Tenebre), non ci sono in circolazione critici, editorialisti, commentatori di giornali «padani» memori della tua lezione sulla libertà come irrinunciabile presupposto della responsabilità; nessuno insomma che sia degno di portare la tua croce.
La crisi della tv
Ti faccio tre esempi, semplici semplici, visto che per tutta la vita, anche come critico cinematografico, hai predicato la linearità, la spartana frugalità dello stile e del flusso della coscienza dentro l’inchiostro. Il primo: ti ricordi quando, insieme alla tua bambina di otto anni, hai visto Don Lurio che in tv rendeva omaggio alla Quaresima con un balletto? «A mia figlia lo spettacolo non è dispiaciuto. Io, che mi trovo assai più vicino di lei alla morte, l’ho trovato disgustoso» - hai scritto.
Ebbene, io mi sono imbattuto in un altro balletto; quello di Benigni in onore di Dante. Anch’io tenevo tra le ginocchia la mia nipotina Silvia che, dall’altezza dei suoi otto mesi, sembrava ogni tanto gradire con un sorriso le piroette e le urla del comico toscano. Io invece ho trovato lo spettacolo semplicemente disgustoso. Disgustoso perché Benigni legge e spiega Dante come Obama spiega il programma sanitario ai neri di Harlem; disgustoso perché Benigni che illustra al pubblico la Divina Commedia ha lo stesso effetto omologante, appiattente, mortificante di Pippo Baudo che, al Festival di Sanremo, introduce un ragazzo ai misteri di Mahler; disgustoso perché di «quell’essere vicino alla morte», di quel senso sgomento ed eroico del percepire l’alito della morte sul collo che fanno di Dante (dopo Gesù Cristo) il secondo uomo che ha patito l’esilio dalla e della vita, nella performance di Benigni non c’è traccia.
Pensi che qualcuno dei tuoi «eredi» abbia avuto il coraggio di dire che tra Don Lurio e Benigni non c’è differenza? Pensi che ci sia qualcuno che abbia scritto che tra la Rai di allora e quella di oggi non passa differenza alcuna?
I rifiuti di Napoli
Il secondo esempio; l’immondizia a Napoli. A me capita sovente di girare per il Veneto, per le terre che confinano con Treviso che tanto ti erano care; mi capita per lavoro ed anche per un vero e proprio pellegrinaggio che vengo a consumare sulle tue tracce. Basta chiacchierare con i vecchi dei bar, oppure con i ragazzi nelle piazze, per accorgersi che, sia pur di nascosto e con un senso di euforica colpevolezza, molti di loro, dinnanzi alle immagini di Napoli ridotta da Messere Sassolino una fogna a cielo aperto, provano un sottile piacere. Perché nessuno dei tuoi pseudo eredi guarda alla calamità napoletana con gli occhi feroci del Nord? Perché non dire che il rifiuto di farsi carico di qualche tonnellata di rifiuti campani da parte delle Regioni del Nord poggia in verità su una sorta di incosciente, inconsapevole rivincita di una massa ingente di italiani che sono sempre arrivati secondi nei concorsi per notai e magistrati, che sono stati sempre vessati nei ruoli culturali, pubblici e politici che in più di qualche caso avrebbero meritato di ricoprire? Perché nessuno dei «farisei» (così tu amavi chiamare i finti critici «radicali») ha portato alla ribalta gli ammonimenti che tu e Giovanni Comisso, da grandi profeti, avevate lanciato in tempi non sospetti? E cioè che l’antifascismo, il marxismo, il clericalismo e il cattolicesimo applicato alla politica altro non erano che paraventi che miravano alla dissoluzione di una vera costituzione dell’identità italiana; specchietti per le allodole, terroristici spauracchi per tenere un Paese diviso, per fomentare le diversità, esaltarle sino a farle scoppiare in veri e propri focolai di conflittualità razziale? Perché il miracolo del Nord-Est negli ultimi anni non ha mai portato sullo scranno della Confindustria, di Mediobanca o dei sindacati qualche signore veneto? Forse che imprenditori come Tomat o Calearo, che hanno creato imperi dal nulla, sono di meno di uno come Montezemolo che ha il solo merito di rappresentare un gigantesco fallimento monopolista? Come mai negli ultimi governi i veneti hanno sempre avuto poco spazio e pochi ministeri senza portafoglio e senza dignità? E la grande destra, quella che sta dalla parte dei poveri, dei giovani, dei disabili, delle ragazze madri, degli umiliati e degli offesi, rappresentata in queste terre dallo straordinario fervore di Isi Coppola o di Pier Giorgio Cortelazzo, dovrà «rinnovarsi» con rampanti candidati emersi da qualche salotto di Cortina o da qualche aperitivo a casa Fini o La Russa? Dove sono i veneti che del mondo e nel mondo hanno portato la luce e la bellezza; l’agio e la ricchezza; le idee e il furore? Forse confinati nel partito di De Gregorio che dentro il suo canale satellitare non fa altro che mangiare e ingrassare e cambiarsi smoking?
Nordest orfano
Terzo esempio, che è solo una domanda; ti ricordi quando venivi cacciato dalle librerie e dai salotti di quella borghesia «nordica» e romana che, nonostante tutto, ti ostinavi a difendere? Ti ricordi quando, anche dopo il successo di quel capolavoro assoluto che è Il male oscuro, i «farisei» ti continuavano a definire «nostalgico, regressivo, melodrammatico, fascisteggiante», oppure, «regionalistico, chiuso, poco realistico»? Ebbene io ti dico e ti scrivo che tu, caro Berto, sei stato fortunato.

Perché da qualche parte, in qualche modo, almeno di te si parlava.
Giancarlo Marinelli

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