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Quel risarcimento ai Rovelli per il crac della loro azienda

La causa Imi-Sir nasce nel 1982 in seguito al crac finanziario della Sir Rumianca di Nino Rovelli. Il gruppo chimico dichiara bancarotta per 3.500 miliardi di lire. Nino Rovelli, però, fa causa all’Imi, Istituto mobiliare italiano, capofila del consorzio di salvataggio, ritenendolo responsabile di non aver salvato la Sir. Rovelli sostiene che l’Imi non ha rispettato una convenmzione del 1979. Chiede perciò un risarcimento di circa 500 miliardi di lire. Il tribunale di Roma nel 1986 pronuncia una sentenza in cui condanna l’Imi al risarcimento dei danni in favore della Sir, per quasi mille miliardi lordi. L’Imi fa ricorso in Appello ma la Corte di Roma, nel 1990, conferma la sentenza di primo grado. Alla fine del 1990 Rovelli muore. Nel 1992 l’Imi ricorre in Cassazione, ma si scopre che manca la procura difensiva, la quale però ricompare qualche tempo dopo «mutilata». La Cassazione, dopo aver sostituito un componente del collegio, conferma la sentenza d’Appello. L’Imi, perciò, paga al netto 678 miliardi, ossia il dieci per cento del risarcimento netto incassato dai Rovelli. Secondo la procura di Milano, la causa sarebbe stata «aggiustata» grazie all’intervento, nei confronti dei giudici Squillante, Metta e Verde, degli avvocati Previti, Pacifico e Acampora dietro un compenso, da parte dei Rovelli, di circa 67 miliardi di lire. I giudici che si sono occupati del processo Imi-Sir sono gli stessi che devono decidere anche del processo relativo al Lodo Mondadori.

I due procedimenti, per questo, vengono unificati.

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