Quell’amarcord nelle valli dove «inventò» la Lega

«Voi siete stati un modello. Allora dirsi federalisti era come bestemmiare in chiesa»

nostro inviato a Domodossola

Passano gli anni e cambiano le abitudini. Tanto che Umberto Bossi, noto per i suoi ritardi proverbiali (che seppur adeguatamente limati ha continuato ad accumulare anche dopo il malore del 2004), nella sala della Resistenza del Comune di Domodossola si presenta con mezz’ora buona d’anticipo. L’occasione è il dibattito che celebra i trent’anni dell’Uopa (l’Unione ossolana per l’autonomia), un incontro organizzato dal sindaco leghista Michele Marinello e dal segretario piemontese del Carroccio Roberto Cota. Per il Senatùr - giacca, cravatta e fazzoletto verde, accompagnato dal sempre presente Maurizio - un vero e proprio amarcord.
Già, perché nelle valli dell’Ossola Bossi mise piede per la prima volta all’inizio degli anni Ottanta, mandato in veste di osservatore da quello che lui da sempre considera il suo padre politico, l’allora leader dell’Union Valdotaine Bruno Salvadori. E la nascita dell’Uopa, racconta, «è stato uno dei primi e fondamentali gradini che hanno poi portato alla Lega Nord». Di più: «Fu il modello cui si ispirò la Lega Lombarda, tanto che quando ci mettemmo a lavorare alla costituzione del nostro movimento autonomista agli inizi lo chiamammo Unolpa anche per l’assonanza che aveva con la sigla dell’Uopa».
E fu in quegli anni che Bossi ebbe l’idea del simbolo del Carroccio. «Doveva essere lombardo e così - dice al termine della celebrazione, seduto nell’ufficio del sindaco insieme a Cota - andai a fotografare la statua dell’Alberto da Giussano a Legnano. Avevo capito fin dal primo momento che era la scelta giusta. D’altra parte, il simbolo dà la misura di quel che vuoi rappresentare. E allora, quando rischiavamo ogni giorno la galera, non c’era nulla di più adatto di un guerriero».
La galleria dei ricordi continua, niente affatto malinconica come potrebbe invece convenire all’occasione. Tanto che Bossi invita l’anziano Alvaro Corradini, fondatore dell’Uopa, a «continuare» la sua opera. E’ con un sorriso, poi, che il Senatùr salta fino al 1987, anno del suo arrivo in Parlamento insieme a Bruno Leoni (lui al Senato, da cui l’appellativo di Senatùr, l’altro alla Camera).


«Erano anni - racconta - in cui mi fischiavano e mi ridevano dietro al solo sentire la parola autonomismo. Allora, dirsi federalisti era come bestemmiare in Chiesa». Oggi, conclude prima di lasciare il palazzo del Comune, «hanno cambiato tutti idea».

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