Vengono in mente i volti imperturbabili di certi ragazzi con la fronte cinta da un nastro bianco su cui era impresso il sole nascente. Vecchie immagini in bianco e nero, un po tremolanti, da film Luce. Samurai poco più che ventenni che balzavano a bordo dei loro caccia salutando amici, commilitoni, superiori, contenti di andare a morire schiantandosi col loro carico di bombe contro una nave americana. Quasi settantanni dopo va in scena unaltra guerra del Pacifico. Solo che stavolta i giapponesi recitano nel ruolo dei vincitori.
Guardate le facce dei sopravvissuti. Guardate le facce serie dei bambini, avvolti in una coperta, tra le braccia dei volontari e dei soldati che frugano nel formidabile marasma di detriti, nella manicomiale montagna di macerie in cerca di sopravvissuti. Guardate il volto sgomento di chi ha visto la propria casa (e i propri averi, e i propri risparmi) schiavardata dalle fondamenta e scaraventata contro un battello da pesca e insieme con questo filare verso un ponte sotto il quale casa e battello si sfracelleranno allunisono.
Di fronte alle telecamere quasi tutti abbassano gli occhi, o li volgono altrove, per pudore dei propri sentimenti, perché non è bello mostrare al mondo la propria sventura. Vengono in mente altri terremoti, altre catastrofi a noi più vicine, piene di facce ululanti, di grida indecorose, di accuse e controaccuse sulla velocità (mancata, in genere) dei soccorsi...
I giapponesi, invece. Imperturbabili, composti, seri, un filino stereotipati, formali fino allingessatura anche nella tragedia. E poi che altro? Ah sì, gente capace di esaltazioni mistiche, rudi e spietati in guerra, ma gentili fino allo stremo, e naturalmente insuperabili cultori del bello, del raffinato, della tradizione e della modernità.
Volendo, si potrebbe andare avanti per paragrafi elencando una serie di luoghi comuni sui concittadini di Yukio Mishima e dellammiraglio Yamamoto, ma alla fine ci si accorgerà di essere finiti comunque fuori bersaglio. Giacchè il Giappone, ha detto qualcuno, è un insieme di luoghi nei confronti del quale esistono solo diversi gradi di ignoranza.
Anche ora, nei confronti della più grande catastrofe dopo latomica di Hiroshima e Nagasaki, poche parole, giusto lessenziale. E se il mondo esterno non capisce, pazienza. La lezione è sempre quella del venerabile maestro Tosu. Al discepolo che gli chiedeva che cosa è il Buddha, Tosu rispose: «É il Buddha». E che cosa è lo Zen? «É lo Zen», rispose Tosu.
Naoto Kan, primo ministro, è quasi altrettanto laconico: «Per la ricostruzione - dice - ci sarà bisogno dellapporto di tutti. Ora è necessario pensare alle evacuazioni e alla messa in sicurezza. Il futuro del nostro Paese è legato alla forza con cui perseguiremo questi obiettivi. Questa terribile calamità ci renderà ancora più uniti e più forti». Fine delle trasmissioni. E fine della commozione.
Ora si pensa a ripulire, a spianare, a rimuovere, a ripristinare. Già la rete dei trasporti dellarea metropolitana di Tokio sta tornando alla normalità; ripartono treni, metrò, autobus. Tornano a sfrecciare i treni proiettile Shinkansen, mentre là dove i binari non ci sono più è un andare e venire di tecnici, ingegneri, operai: un termitaio di teste corazzate da elmetti, di guanti bianchi, di garze su naso e bocca che valutano, ordinano, eseguono, progettano, dicendosi cose incomprensibili nella loro incomprensibile lingua ma dove una cosa è chiara anche a noi: e cioè che qui siamo di fronte a una squadra-nazione, dove ciascuno sa cosa fare, che cosa ci si aspetta da lui, quali sono gli ordini e come vanno eseguiti.
Ieri, nel popoloso distretto di Setagaya, sembrava un sabato come tutti gli altri. Il solito mare di gente sui marciapiedi, e negozi affollati come sempre. É bastata una notte per ripulire, spazzare i vetri rotti, sostituire le vetrate andate in frantumi, rimettere gli oggetti e le merci sugli scaffali da cui erano partiti in volo.
Sì, ci vuol altro che un terremoto, per sbalestrare un giapponese.
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