Quell’intervento architettonico ha sfregiato il paesaggio urbano

Posso dirlo? Piazzale Cadorna mi fa schifo e, una volta tanto, appoggio in pieno il giudizio impietoso che diede Vittorio Sgarbi all’intervento dell’archistar Gae Aulenti. Giudizio, pare, confermato anche dai cittadini oggetto della ricerca di cui sopra. L’ago e il filo di Oldenburg, in fondo, sono il male minore per una piazza invasa da una struttura catafalco che, oltre a sfregiare le facciate degli edifici ottocenteschi preesistenti, ne impedisce per tre quarti la visibilità alle persone che escono dalla stazione nord o da quella della metropolitana. Serviva un riassetto e una riqualificazione per un luogo strategico del territorio, si disse alla fine degli anni Novanta, un nodo di scambio tra una ferrovia presa d’assalto dai pendolari e il nascente Malpensa Express. Anche in questo caso, però, Milano non è sfuggita alla logica dell’invasività privilegiando, con la scusa del primato dell’efficienza sulla qualità della vita, un modello di urbanità a misura di flusso produttivo. La piazza, che nella tradizione ellenica rappresenta l’agorà, ovvero il fulcro della vita della comunità, da queste parti è solo raramente luogo in cui «sostare», per godere bellezze che poco hanno da invidiare a tante città europee. Basti pensare alla morte del centro storico, dove gioielli come piazza Affari sono ridotti a parcheggi selvaggi o campeggi fieristici. Su piazza Piemonte caliamo pietoso velo.

Il grado di civiltà di una città si misura anche dal grado di attenzione verso anziani e bambini e, in fondo, anche piazzale Cadorna aveva le carte in regola per trasformarsi in un luogo accogliente in cui sostare, chessò, tra belle aiuole, tavolini e panchine. Ma, pare, chi si ferma è perduto, come sembrano sottolineare perfino gli impraticabili acciottolati di certe aree pedonali e dei cortili degli edifici. Che, anch’essi, della «corte» non hanno più nulla.

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