Certe storie non finiscono. Certe storie non s'accontentano d'una ricostruzione distillata da sessant'anni di memoria. Certe storie come quella dei fratelli Cervi. Che l'avranno ben squartata e ricomposta in tutte le accezioni possibili e possibiliste. Macché. Roberto Gremmo, storico testardo e camminatore, se ne esce con un: «Perché i partigiani uccisero Dante Castelluccio, braccio destro dei fratelli Cervi? Cosa accadde ad Adelano di Zeri, Lunigiana, quel 22 luglio 1944?».
Cerca delle risposte Gremmo, le cerca battendo le valli di Zeri dai tornanti dolci, che su uno slargo ti piazza una lapide con su scritto «A ricordo di Dante Castelluccio "Facio", comandante del BTG Picelli, medaglia d'argento. 22-7-1977». Dove ogni tanto una donna depone rose. Ma quella medaglia lo fa pensare: «Decorato, ma non vittima del nemico. Assurdo». Fiuta l'aria e le dissonanze Gremmo, tant'è che arriva forse ad una delle chiavi del giallo, arriva a Laura Seghettini, la donna che amò Facio, che passò con lui l'ultima notte della sua vita. «E che dopo sessant'anni cerca ancora la verità» racconta lo storico-giornalista che su Tribuna Novarese ne pubblica l'intervista e solleva un caso nazionale. «I sette fratelli Cervi ebbero la medaglia d'oro come martiri della Resistenza - racconta Gremmo - Il loro compagno più fedele finì invece ammazzato. Da altri partigiani». Castelluccio, calabrese di nascita, emigrò con la famiglia in Francia. «Aveva frequentato la Sorbona e suonava il violino. Nel 1940, come cittadino italiano, la chiamata alle armi. Viene spedito in Russia. Tornato in Italia lasciò la divisa e si unì ad un gruppo di attori girovaghi, guidati da Otello Sarzi, che era un propagandista del Partito Comunista clandestino». I Cervi incontrano la compagnia. «Nasce la collaborazione. Poi ci fu la Resistenza dura. La cascina dei Cervi divenne una base partigiana e il rifugio di Castelluccio. E poi ci fu la spiata. I fascisti lo catturarono insieme ai Cervi. Ma lui riuscì a fuggire e invano tentò di liberare i compagni e scoprire chi aveva fatto la spia».
Castelluccio, ormai diventato il partigiano Facio, non si fida più, cambia aria. «Il Partito lo mandò in Lunigiana. Dove diventò subito uno dei capi del movimento Garibaldino. Qui arrivò anche un vecchio dirigente del Partito Comunista, Antonio Cabrelli di Pontremoli che, con il nome di Salvatore, affiancò Facio nel comando». Gremmo riferisce che una notte gli aerei alleati fecero un lancio di materiale e armi intercettato dalla formazione di Castelluccio e Cabrelli. Tutto fu spartito in parti uguali, ma Facio insistette per avere una piastra di mortaio, inutilizzabile da sola. «Salvatore lo usa come pretesto: lo accusa d'essere un traditore, un ladro, un nemico. Castelluccio viene sottoposto a processo partigiano, giudicato colpevole e fucilato. Nella base di Adelano».
C'era anche P.T. quella mattina. Una bella riga d'anni e ancora paura di mostrarsi. Che parla di continue incursioni partigiane per rubare patate e ammazzare vitelli. Lui metteva a disposizione i suoi manzi per trasportare il materiale lanciato: «Vedo arrivare Facio scortato. Mi nascondo. Lo insultano e poi lo ammazzano». P.T. è stato ascoltato di recente dai carabinieri.
A Castelluccio fu concesso di trascorrere l'ultima notte con la partigiana Laura. Gremmo la incontra nella sua grande casa in Lunigina. «Ottantaquattrenne lucidissima, fiera, che cerca da anni la verità. Mi racconta che Facio le disse che i Cervi furono traditi. Era convinto che la spia fosse uno degli "stivaloni", ma alle sue spalle c'era la rivalità fra la Federazione Comunista di Parma e quella di Reggio Emilia. E poi la storia di Cabrelli, arrivato lì, secondo Laura, per eliminare Facio. Che forse sapeva troppo e la storia della piastra era solo un pretesto. Ma sulla sua fine tutti sono stati zitti».
Ad eccezione del Presidente dell'Istituto Storico della Resistenza Apuana, Giulivo Ricci: «Scrive a chiare lettere che Facio venne fucilato per condanna, molto discussa, di un tribunale di patrioti».
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