«Quella Canzone popolare mi ha troppo ingabbiato»

nostro inviato a Viareggio

Intanto parla poco. Pensa, piuttosto, e facendolo allarga spesso un sorriso timido. Poi dice: «Voglio soltanto riempire la mia musica con qualcosa che abbia senso». In questa frase c'è tutto Ivano Fossati, il cantautore più riservato che ci sia e quindi scordatevi battute a effetto, slogan potabili o j'accuse populisti. «Non sono il mio stile», direbbe lui. Vero. In questi mesi è in tournée dopo aver pubblicato uno dei suoi migliori album, Musica moderna, che è ispirato come se fosse il suo primo e dire che lui, 58 anni, ne registra da quasi quaranta. E ieri sera sul palco della Cittadella di Viareggio ha dato una sorprendente versione di Giorgio Gaber cantandone (anche in coppia con Morgan) una manciata di brani con la sua voce gentile, appuntita, zuppa di quella serena malinconia che è poi il passepartout del suo musichiere.
Che strano, Ivano Fossati, lei e Gaber non vi siete mai incrociati.
«Non è vero, ci siamo incontrati spesso. Abbiamo visto spettacoli insieme, abbiamo cenato e discusso».
Ma mai musica.
«In realtà due volte siamo stati lì lì per farlo. Nel 1988 io avrei voluto “teatralizzare” i miei concerti e cercai il suo aiuto. Ma lui aveva quasi cento recital da tenere e così rimandammo. Poi, poco tempo prima che morisse, Gaber mi cercò dicendomi: “Voglio fare dei dischi che abbiano il suono dei tuoi”. Magari avrei potuto arrangiarli o produrli, chissà».
Fossati, sono trent'anni esatti dalla pubblicazione de «La mia banda suona il rock».
«Qualche volta quella canzone mi ha fatto sembrare quello che non sono».
Claudio Baglioni arrivò a stravolgere e poi addirittura cancellare dai suoi concerti «Questo piccolo grande amore».
«Capisco che ci si possa sentire infastiditi dall'essere collegati a un solo brano quando hai un repertorio enorme. Bisogna imparare a conviverci. E io ci sono riuscito, alla fine».
Sarà stato difficile convivere anche con «La canzone popolare», che lei consegnò a Prodi come inno dell'Ulivo nel '96.
«Quella vicenda mi ha fatto capire che la politica non è una barca dalla quale puoi scendere quando vuoi».
In che senso?
«Se ti avvicini alla politica, lei pretende sempre qualcosa in cambio. E non ti chiede neanche il permesso. Decisi di dare quella canzone perché ci credevo. Ma poi sembrò scontato che io facessi politica mentre non volevo diventare un'icona della sinistra».
Lei è un'icona.
«Ma solo della musica».
A proposito: programmi per il futuro?
«Sarò in tour fino a ottobre inoltrato».
E poi?
«Non so se concentrarmi su di un nuovo disco oppure accettare proposte di collaborazione che hanno una notevole controindicazione».
Quale?
«Cozzano con la mia pigrizia. Sono un musicista pigro».
Uno dei più rispettati, però.
«Ho sempre parlato poco, mi sono risparmiato nelle esternazioni».
Strategia?
«Più che altro pigrizia. É leggendaria, sa?».
Adesso però tutti parlano. O straparlano. E il gossip aiuta a farlo: siamo in overdose, ormai.
«Il gossip è un percorso all'ingiù. E comunque le veline e tutte quelle cose lì appartengono a un mondo che non è il mio. Però anche la politica ormai se ne occupa».
Da mesi, per di più.
«É inquietante come la politica abbia perso il proprio equilibrio. Ma per fortuna sono molto lontano da quel tipo di vicende».
A sinistra c'è la corsa al disimpegno.
«In effetti oggi molti sono in fuga da una sinistra tanto vaga e imprecisa. É difficile averne entusiasmo, è difficile che si possano riaccendere le passioni».
Per molti artisti il vuoto dell'ideologia ha riacceso la fede.
«Anche su questo argomento resto quello che ero: vicino e contemporaneamente lontano dalla fede.

Come tutte le persone che hanno trascorso tanta parte della propria vita a capire e informarsi, come ho fatto io, non ci può essere certezza».
Insomma, agnostico.
«Il percorso della fede dura tutta la vita e io sto camminando da tanto tempo».

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