Che cosa potrebbe dire o pensare oggi, Gianni Agnelli? La sua Juventus intercettata, svergognata e cacciata in B, suo nipote Lapo spedito in prima pagina per storie di sesso e droga, la Fiat nelle mani, finalmente salde, di un manager abruzzese che lui, caso storico, non aveva nemmeno conosciuto di sghembo. E infine Margherita, la bambinaia come la chiamava affettuosamente (bah!), che cita a giudizio Grande Stevens, Gabetti e Maron, i custodi del patrimonio in una vicenda di eredità, di soldi e affini, i soldi e gli affini suoi, di Gianni? Questa è una storia acida, prevista e prevedibile. Questa è la cronaca di una donna che ha regalato rarissimi sorrisi e di una ragazza che è rimasta silenziosa e solitaria in mezzo all’alveare di una famiglia illimitata ma con un solo uomo a comandare e a comandarla, in tutto, sempre, anche e soltanto con lo sguardo.
Margherita sembra essere nata dopo la morte di suo padre, ha voluto trovare la luce dopo l’ombra doverosa di un’esistenza discreta, secondo lo stile della casa. Di lei, spesso, anche nelle cronache odierne, si dice e si scrive che abbia avuto tre figli, John, Lapo e Ginevra, dei quali tutto e troppo si sa, dal primo marito Alain Elkann e «altri cinque» dal nuovo matrimonio con Serge de Pahlen. «Altri cinque», di cui poco o nulla si conosce, le suona come un’offesa: sono Maria, Pietro, le gemelle Anna e Sofia, e infine Tatiana. Secondo un accordo successivo alla scomparsa dell’Avvocato essi sono fuori dall’accomandita. Sembrava una vicenda conclusa. Ma non del tutto per la pittrice e scrittrice, figlia del patriarca. Sei giorni dopo la morte di suo padre, il 30 gennaio del 2003, nonostante la sua assenza, unica figlia di Gianni e Marella, venne aperto l’asse ereditario. Quando Margherita chiese chiarimenti di questo atto scortese le venne risposto che la sua presenza era ritenuta superflua. Furono giorni aspri, litigiosi anche con sua madre Marella. Era la logica conseguenza di un rapporto difficile, non soltanto il suo, tra Margherita e le api che ronzavano attorno al miele di Gianni. «Erano evasivi, sbrigativi. Lo consideravo normale, sono uomimi di vecchio stampo e probabilmente, dal loro punto di vista, le donne non andrebbero tenute al corrente. Il 24 febbraio dello stesso anno ci ritrovammo tutti davanti al notaio e chiesi spiegazioni sul contenuto dei documenti che mi erano stati presentati perché li firmassi. Dall’altra parte del tavolo mi venne detto: “Lei non è degna di essere figlia di suo padre, né di farne la volontà”. Non firmai nulla e chiesi l’aiuto di mio zio Umberto che riequilibrò, insieme con John, l’assetto distribuendolo tra tutti gli altri fratelli, gli Elkann e i de Pahlen». Sono memorie e parole, agghiaccianti, della stessa Margherita Agnelli in un’intervista rilasciata a Camilla Baresani, nel 2004.
Sono la password per capire l’esistenza di una delle più grandi famiglie di imprenditori, spesso illustrata con i violini e lo champagne. Margherita, come sua madre Marella, è sembrata spesso distaccata dalla realtà, una sorta di figura di seconda fila, estranea alla dolce vita e anche alla vita dolce, piuttosto dedita alla carità non pelosa, a opere di beneficenza mai pubblicizzate e a circondarsi di quell’asilo di figli che forse erano il riscatto all’isolamento della sua famiglia, la ricerca esasperata di un nido dove, stando alle testimonianze dei suoi amici, i pupi avevano la libertà di circolare completamente nudi. Era la Francia, era la campagna, era tutto questo lecito e permesso a chi non faceva testimonianze morali. L’amore con il russo Serge de Pahlem, conosciuto a Londra, ha portato Margherita a una lenta trasformazione caratteriale.
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