di Franco Ordine
Siamo stati tutti tratti in inganno dalla notte dellabbaino, gennaio del 2009. In quella notte, sotto un diluvio purificatore, in una elegante strada del centro storico occupata da tifosi commossi e da striscioni strappalacrime, Riccardo Kakà si affacciò dallabbaino della sua mansarda e giurò eterna fedeltà ai colori rossoneri. Prese una maglia col numero 22, la espose e si diede colpi sul petto giurando fedeltà eterna mentre i ragazzi cantavano felici, sotto la pioggia, «non si vende Kakà». Poi andò al telefono e parlò con Mauro Suma, direttore di Milan Channel, per spiegare il suo no al Manchester City soprattutto per non tradire le aspettative «dei tanti bambini che mi hanno scritto lasciando nella portineria del mio palazzo i loro scritti». Sembrava una fiaba.
Quella notte, complice lannuncio di Silvio Berlusconi («Kakà ha detto di no, vuole restare e noi abbiamo deciso di accontentarlo rinunciando a una cifra molto alta»), andammo a letto convinti di aver ritrovato un altro Gigi Riva, fedele alle radici sarde e pronto a respingere qualsiasi lusinga proveniente dalla Juve di Boniperti, che a quei tempi voleva dire sfidare la potenza di Fiat e della famiglia Agnelli. E invece no. Non è andata così. Niente Inghilterra, men che meno il City, ma quando si è trattato di Spagna e del Real Madrid, le lacrime si sono asciugate, la promessa fatta ai tifosi la notte dellabbaino è stata sotterrata e lintesa con Perez raggiunta al volo. Forse Riccardino sarebbe volentieri rimasto a Milano, dove ha conservato interessi economici, amici, molti amici e legami affettivi.
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