Oggi ci sarà di nuovo, in piazza Alimonda a Genova, chi invocherà a gran voce la verità, tutta la verità sulle circostanze in cui fu ucciso Carlo Giuliani. Oggi ci sarà di nuovo, a sei anni di distanza dalla tragedia del G8, chi vorrà fare di quel ragazzo l'eroe d'una nobile e alta protesta: sacrificato, per mano del carabiniere Mario Placanica, dalla reazione in agguato. Avremo, in questa celebrazione, un ennesimo esempio delle doppie verità di cui certa Italia si compiace: quella ripetuta in privato, al bar, tra amici e quella retorica ed enfatica, tuonata da ogni podio.
Come siano andate le cose in piazza Alimonda l'hanno capito tutti: una tragedia dolorosamente banale anche se la giustizia, con i suoi cavilli e le sue perizie, controperizie, superperizie ha tentato di darle connotazioni misteriose. Nella piazza genovese una turba di scalmanati ha circondato minacciosa una camionetta dei carabinieri. Tra gli aggressori era Carlo Giuliani, che impugnava, come arma occasionale, un estintore. Tra gli aggrediti era il Placanica, che di sicuro non rappresentava, come tutore dell'ordine, un modello di addestramento e di sangue freddo, e che si sentì in pericolo grave. Placanica, munito di pistola, ha sparato, Giuliani è stato colpito a morte. Una sequenza di fatti molto dolorosa ma molto semplice.
Con una operazione propagandistica di grande cinismo - da accreditare a Rifondazione comunista, non vogliamo negare i meriti, quando ci sono - Carlo Giuliani, che per la sua famiglia era un cruccio e un problema, e che apparteneva alla folta schiera dei ribelli sbandati, esaltati e maneschi, è diventato un cavaliere dell'ideale. E non essendo possibile individuare nell'opaco e terrorizzato Placanica un bieco sgherro dell'occhiuto potere poliziesco, se ne è fatto un esecutore inconsapevole. I genitori di Carlo sono stati arruolati in politica, la madre Haidi è senatrice di Rifondazione, saranno entrambi alla «passeggiata» di oggi dopo aver preso accordi con il sindaco signora Marta Vincenzi. Il tutto nel nome, a quanto pare, della non violenza: vista come segno distintivo dell'azione di Carlo Giuliani, e di quanti a Genova si dedicarono, il 20 luglio 2001, a un'accurata opera di devastazione.
In contemporanea un sindacato di polizia, il Coisp, aveva annunciato una manifestazione-dibattito dal suggestivo titolo «L'estintore come strumento di pace». Era un guanto di sfida, potevano derivarne incidenti. Il Coisp ha poi rinunciato perché «il clima non è né democratico né sereno» ma dà appuntamento per il 20 luglio 2008. L'ex senatore Gigi Malabarba - che ha ceduto il seggio ad Haidi Giuliani - sì è scagliato contro la «provocazione» del Coisp. Ed ha invocato un intervento punitivo del ministero dell'Interno. È lecito aver dubbi sull'iniziativa - poi annullata - del Coisp. Ma è anche lecito chiedere a chi la demonizza una risposta precisa: considerano o no l'estintore uno strumento di pace?
Rievocando i fatti di Genova - ma solo nella parte che fa comodo - gli «antagonisti» insistono in una loro astuta manovra: quella cioè di collegarli tutti ai pestaggi della scuola Diaz. Si può avere - e io l'ho - un'opinione molto negativa sull'irruzione e sul modo in cui uomini delle forze dell'ordine si comportarono, su negligenze e reticenze d'alcuni dirigenti. Ma questo avvenne dopo che Genova era stata deliberatamente messa a ferro e fuoco da un'orda di teppisti. Non mi piacciono i ragionamenti tipo «ma anche loro». Chi ha eseguito o fatto eseguire il pestaggio dei fermati deve risponderne.
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