Quella che vi svela la Zuppa è un’ideuzza che sta girando per le stanze che contano di banche e del ministero del Tesoro italiano. Si sta studiando il modo formalmente più corretto per mettere le mani sull’oro della patria. Più prosaicamente trattasi dell’oro della Banca d’Italia.
Ma andiamo per ordine. E partiamo dalla realtà. Nei caveau di Via Nazionale non c’è spazio a sufficienza per i nostri lingotti.
Tanto che abbiamo chiesto aiuto agli inglesi e agli americani per l’utilizzo di Fort Knox e dei forzieri della Banca d’Inghilterra. D’altronde le nostre riserve d’oro sono le terze al mondo, dopo Stati Uniti e Germania. Disponiamo, in piena proprietà, di quasi 2500 tonnellate di lingottoni. Mica male davvero.Per dare un’idea la Grecia ne ha venti volte di meno. Un vero Tesoro, che negli anni è aumentato di valore.L’ultima stima attribuisce un valore di 100 miliardi di euro: in un anno si è rivalutato, grazie all’ottimo andamento delle quotazioni del prezioso metallo, della bellezza di 20 miliardi di euro.
Il punto è chiaro:la Banca d’Italia ha nei suoi forzieri (anche se come abbiamo visto non è proprio così) 100 miliardi di euro. Un peccato, pensano i banchieri, non metterli a frutto.
In effetti la Banca d’Italia è proprietà delle nostre banche commerciali, che ne detengono le quote, anche se non ne stabiliscono i destini. Anzi da essa sono vigilate (le stranezze italiane). Semplificando possiamo dire, ad esempio, che il 44 per cento della Banca d’Italia è di Intesa. E andando ancor di più per le spicce non si fa fatica ad attribuire alla banca di Corrado Passera 46 miliardi di euro di patrimonio dell’Istituzione derivante appunto dalle riserve auree. Scorrendo la lista Unicredit (affamata di nuovo capitale) potrebbe mettere le mani su 23 miliardi di oro e l’Mps su circa 5 miliardi. Si tratta ovviamente di un ragionamento per paradosso. Mica tanto, si inizia a pensare nelle ultime ore. Ma come, dicono i banchieri, in momenti straordinari perché non adottare misure straordinarie?
Svuotare Fort Knox è da escludere. L’escamotage tecnico sarebbe ben più sofisticato. Le banche italiane potrebbero utilizzare l’oro, in quota parte alla loro partecipazione in Banca d’Italia,come collaterale di nuove emissioni obbligazionarie. Rendiamola semplice. Potrebbero andare sul mercato e chiedere con un’obbligazione quattrini freschi. Ai potenziali sottoscrittori potrebbero vendere un bond con attaccata la garanzia reale dell’oro di Bankitalia. Se la banca dovesse fallire, l’investitore potrebbe rivalersi sui lingotti. Questo meccanismo permetterebbe ai nostri istituti di credito di finanziarsi a tassi molto competitivi e decisamente inferiori a quelli di mercato, vista la garanzia reale che riconoscono.
Il timore, dalle parti romane ed europee, è che aperta la strada dell’uso dell’oro, si potrebbe costruire un’autostrada. D’altronde sia Tremonti sia Prodi avevano già pensato di utilizzare l’oro della Patria, anche se con piani diversi.
Il rischio di prenderci gusto è forte. Ad esempio circola l’ipotesi, molto meno sofisticata, di riconoscere alle banche azioniste di Bankitalia un dividendo straordinario (che la banca non ha mai dato) per l’incremento di valore subìto dall’oro negli ultimi anni.In fondo Intesa ha in carico a 700 milioni la sua partecipazione nell’istituto centrale a fronte di un patrimonio di sua competenza di 43 miliardi.
È evidente che tutte queste operazioni dovrebbero avere un avallo legislativo che sblocchi le attuali regole di intoccabilità delle riserve. Nulla, in periodi di emergenza, è escluso.
L’ipotesi ultima è che il medesimo meccanismo, invece di lasciarlo usare alle nostre banche, si potrebbe attribuire al Tesoro.
Un nuovo Btp d’oro: con tassi di interesse molto inferiori a quelli che il mercato oggi ci riconosce proprio in virtù del fatto che avrebbero come collaterale per un eventuale fallimento italiano, l’oro di Bankitalia.Staremo a vedere: ma non sarebbe la prima volta che il nostro istituto centrale utilizza le sue riserve per occasioni eccezionali.
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