Premessa numero uno: se la Roma domenica dovesse vincere lo scudetto lo farà a pieno titolo e con pieno merito. Premessa numero due: personalmente credo che quella del giornalista sportivo che si schermisce dicendo «io tifoso? Al massimo ho una simpatia per il Forlimpopoli, la squadra del mio paese» sia una specie di barzelletta. Perché si sa benissimo che se si comincia a fare questo mestiere quasi sempre prima prevale lamore per il calcio (e per una squadra), poi quello per il giornalismo. Limportante, al di là delle proprie passioni personali, è lonestà intellettuale e la competenza che ci si mette, due qualità che spesso ne fanno una. O a volte nessuna.
Difatti. Non può sfuggire né passare sotto silenzio il titolo di apertura comparso ieri sul Corriere dello Sport, quotidiano romano, riguardo alla psicodomenica di San Siro: «Non sono ancora riusciti a far vincere lo scudetto allInter». Chi?, vi chiederete voi. Forse i giocatori? O lallenatore? O finanche il presidente? Ma no certo, dimenticavamo: gli arbitri. Beh, è chiaro che il direttore del Corsport, nel suo articolo di fondo, abbassa lasticella dellindignazione parlando solo di «sudditanza». Già, però: resta il titolo cubitale e quel «rigore inesistente» più quel «regalo arbitrale» sparato in prima pagina giusto per creare il giusto clima per il finale di campionato. Allora diciamolo: è tutto un complotto, Materazzi è stato furbo a procurarsi labbraccio e Riganò era lì per caso. E poi continuiamo pure: lInter è stata aiutata scientificamente dal Palazzo. Però, un dubbio: e tutte quelle volte che Totti doveva essere espulso per un vaffa di troppo allarbitro o una manata al portiere avversario, come le chiamiamo? Noi - labbiamo detto - incapacità, in un senso e nellaltro.
Perché insomma, una cosa è essere giornalisti sportivi che giustamente tifano magari anche per le proprie vendite, unaltra è diventare direttamente ultrà per far colpo sullAudipress. Cosa lecita, per carità: vendiamo un giornale, mica opere di bene.
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