Laura Cesaretti
da Roma
«Abbiamo vinto, e lUnione è a pezzi». Ama le battutacce ad effetto, il verde Paolo Cento, ma fotografa realisticamente la situazione assai difficile in cui si trova la coalizione di Romano Prodi. Appesa ad una maggioranza fragilissima, nella quale ha un peso determinante la sinistra radicale che esce premiata dalle urne, e con un percorso di guerra politico-istituzionale davanti: presidenze delle Camere, presidenza della Repubblica, formazione del governo. E soprattutto con la variabile Berlusconi ancora sorprendentemente in campo, e che anche con linvito al dialogo lanciato ieri con lipotesi di grosse koalition fa capire che sarà col «Caimano» che si dovranno continuare a fare i conti. Il centrosinistra sembra aver riscoperto Berlusconi, una folgorazione che lascia attoniti molti suoi esponenti: «Un mago, lunico che ha dimostrato di aver capito tutto del Paese», sospirava un esausto Dario Franceschini alle quattro del mattino dellalba post-elettorale. «Grandioso, un genio assoluto», celebra il ds Fabrizio Morri. «Un gigante della politica, chapeau», incalza Cento. «Una tempra straordinaria di politico e combattente», si inchina il ds Antonello Cabras.
Intanto Ds e Margherita, indeboliti dal voto e dallincontestabile successo che ha premiato lUlivo alla Camera rispetto alla somma dei partiti al Senato, sono lepicentro delle difficoltà dellUnione. Su Fassino e Rutelli si concentrano le pressioni interne ai rispettivi partiti perché entrino nel governo (ipotesi più probabili? Rispettivamente lEconomia e gli Esteri) aprendo la strada a cambi della guardia interni. Ma mentre la Margherita ha grosse difficoltà a sostituire la leadership dinamica di Rutelli, Fassino «ha perso lunica carta che gli avrebbe consentito di rivendicare un doppio incarico, partito e governo: un buon risultato elettorale», ragiona un esponente dalemiano. Invece i Ds sono andati molto sotto le aspettative, anche se cercano di ribaltare sulla Margherita (punita soprattutto nel Sud, dove aveva i suoi punti di forza) lonere della colpa del mancato successo. «Sarebbe una follia se Fassino andasse al governo e ci ritrovassimo a cambiare segretario in questa situazione difficile», si oppone Fabrizio Morri, braccio destro del leader.
Lalternativa però è già in campo. Dice Caldarola: «Se Fassino scegliesse il governo, uno come Bersani ha il carisma, la faccia e la cultura unitaria per costruire il nuovo progetto». E una «nuova leadership», aggiunge, serve allintero centrosinistra, quando lesperienza del fragile governo Prodi si esaurirà: un volto «insieme radicale e rassicurante» come quello di Walter Veltroni. Il quale, spiega qualcuno, a Bersani (caldeggiato da DAlema) preferirebbe un «giovane» della sua scuderia, come Nicola Zingaretti. Forse per questo si affaccia lipotesi di un «ticket» diessino che accontenti anche il sindaco di Roma, con Giovanna Melandri ad affiancare Bersani. E DAlema? Il presidente della Quercia non si chiude alcuna strada: «Deciderà Prodi, io sono a disposizione. Mi appassiona molto l'idea che nasca un grande partito democratico, è un progetto cui vorrei continuare a contribuire.
Ma anche le istituzioni mi appassionano». Già, la presidenza della Camera (il Senato, giurano i Dl, andrà comunque a Marini) continua a essere il suo sogno, ma deve fare i conti con Bertinotti. «Con una maggioranza così fragile non possiamo permetterci fibrillazioni di Rifondazione», nota Franceschini. «Ma Bertinotti non può permettersi di far saltare il suo primo governo, e può fare il vicepremier», obietta Caldarola.
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