"Quella volta che il Papa mi accarezzò il viso"

L’intervista del Giornale a mamma Rosa due anni fa: "Nella mia vita ho fatto molti sacrifici, ma sempre volentieri. Amare è l’unica cosa importante". "Nel 2004 incontrai Giovanni Paolo II ma stava già molto male, parlai solo io"

"Quella volta che il Papa mi accarezzò il viso"

Milano - «Sun come el Signur el m’ha fatt». Il Signore l’ha fatta molto affabile, alla mano. L’ho dedotto da un particolare che purtroppo non posso rivelare per ragioni di riservatezza. La madre del premier abita al sesto piano di un condominio che ne conta otto, in zona Bande Nere-Lorenteggio, periferia ovest di Milano. (...) «Fosse dipeso da me, mi sarei tenuta la nostra vecchia casa di viale Zara 58. Qui i negozi hanno certi prezzi... Ma il mio Gino preferì venderla e trasferirsi in questo palazzo. Silvio ne tirò su quattro uguali. Per sei mesi era rimasto a osservare i muratori che costruivano gli edifici in zona. Tutto il giorno nei cantieri a imparare. Alla fine gli architetti dissero a mio marito: “Se lo porti via, o finisce che suo figlio si mette a fare anche il nostro lavoro”».

S’era appassionato all’edilizia.
«Venne a sapere che il conte Leonardo Bonzi vendeva molti terreni a Segrate, quelli su cui poi sorse Milano 2. Ma non aveva i soldi per comprarli. Carlo Rasini, proprietario della banca dove lavorava mio marito, gli concesse un prestito. Noi gli demmo tutto quello che avevamo da parte. “Però ricordati che di figli ne ho tre”, gli disse suo padre, “perciò un giorno dovrai aiutare la Maria Antonietta e il Paolo”. Alla fine mio marito lasciò la banca per seguire le imprese di Silvio. In casa avevamo valigie piene di cambiali. Ogni tanto el me Gino diseva: “Rosella, me buti giò de la finestra”».

In che anno vi eravate sposati?
«Nel 1935. Mi ha aspettato otto anni. Silvio ci scherza: “È per quello che sono venuto fuori così. Dopo una tale attesa papà ha dato il meglio di sé”».

Perché lo fece aspettare tanto?
«Mia madre morì a 38 anni, quando io ne avevo appena 16. Soffriva di cuore. Nel giro di tre ore spirò fra le mie braccia. Prima che chiudesse gli occhi, le giurai che avrei fatto da mamma a mia sorella e a mio fratello più piccoli».

Quindi lei era contraria ai rapporti prematrimoniali. Lo è ancora?
«Eh, certo. Guai! Il mio Gino mi ha sempre rispettata. È stato un grande amico, un grande fidanzato e un grande marito. Il primo e unico uomo della mia vita».

Come vi conosceste?
«Io abitavo in via Volta e prendevo il tram 4. Vedevo sempre questo giovane distinto che parlava di banca e di azioni con un’altra persona. Che uomo intelligente, che bella voce, pensavo dentro di me. Scendeva alla mia stessa fermata, in Cordusio. Un giorno al ritorno decisi di perdere il tram. “Rosina, non sali?”, mi chiese la mia amica. No, risposi, aspetto il prossimo per vedere se c’è su il biondino. Subito dopo s’avvicinò lui: “Permette, signorina, che mi presenti? Sarebbe un onore per me accompagnarla”. Io scoppiai a ridere. Secondo me aveva sentito tutto».

«Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti», scrive il salmista. Le capita spesso di sentirsi ben oltre il traguardo?
«Sì, e tutti i minuti della giornata ringrazio il Signore di quello che mi ha dato. Ho fatto tanti sacrifici, ma sempre volentieri. Da ragazza dovetti imparare la stenografia e trovarmi lavoro come segretaria. La sera, per arrotondare, dopo aver sbrigato le faccende domestiche stavo in piedi fino a tarda ora a sferruzzare i golfini neri che il partito fascista mi commissionava per le “piccole italiane”. Mi sono sempre licenziata io, per andare a guadagnare di più. L’ultimo impiego fu alla Pirelli, perché pagava 14 mensilità anziché 12 e in tempo di guerra distribuiva i pacchi viveri».

E suo marito?
«Tornò dalla guerra dopo tre anni. Nel frattempo eravamo sfollati a Oltrona San Mamette. Incinta di Maria Antonietta, tutti i giorni raggiungevo a piedi Fino Mornasco, tre chilometri all’andata e tre al ritorno, per prendere il treno che mi portava a Milano. In stazione alcuni compagni di viaggio mi sollevavano di peso per non farmi affaticare e m’infilavano attraverso il finestrino nella carrozza affollata. Mi ero cucita dei mutandoni fino al ginocchio per non mostrare le gambe. Nel terrore di quei giorni era un momento d’ilarità. Ci si divertiva con poco, allora».
(...)

Sente spesso suo figlio da quando è premier?
«Mi telefona tutti i giorni. Possono essere le 9 oppure le 24, lui chiama per sapere come sto. Il lunedì sono a pranzo da lui ad Arcore».
(...)

Quale fu il suo primo lavoro?
«Vendeva elettrodomestici. Una vigilia di Natale portò sulle spalle un frigorifero Ignis a una signora. Salito al quinto piano, s’accorse d’aver sbagliato scala e dovette rifare il percorso. Tornò a casa stravolto. La fatica non gli ha mai fatto paura. Le prime mance le guadagnò lavandomi i piatti e dando la cera al parquet».

Quando nella primavera del ’97 scoprì d’avere un tumore, ne parlò con lei?
«No. Andai a trovarlo in ospedale dopo l’intervento, era già in via di guarigione. Se l’avessi saputo prima, sarei impazzita».

È stata sua ospite a Palazzo Chigi?
«Una sola volta, il 13 dicembre 2004, a pranzo, dopo un’udienza dal Papa. Giovanni Paolo II stava già molto male, si limitava ad ascoltarmi e ad accarezzarmi il viso. A tavola Silvio mi chiese: “Che cosa ti ha detto il Santo Padre?”. Niente, perché ha perso la voce, risposi. “Allora, è stato un incontro muto”, concluse mio figlio. No, no, ho parlato io».

Per dirgli che cosa?
«Che pregavo per lui. E che qualche volta doveva raccomandare il mio Silvio al Padreterno. Ne ha tanto bisogno».

Pensa che il Pontefice sia contento di trasmissioni come il Grande fratello, La talpa e Le Iene trasmesse dalle reti Mediaset?
«No. Vorrei tanto che non le mandassero in onda. Tutte quelle donne nude... Io posai per lo scultore Alfredo Sassi e per il pittore Guido Tallone. La ragazzina del monumento ai Caduti nella piazza di Seregno sono io. Ma non mi sarei mai spogliata, avevo l’abito lungo fino ai polpacci».

Secondo lei quanti sono, in percentuale, gli italiani che adorano il suo Silvio e quanti quelli che lo detestano?
«Cinquanta e cinquanta».

E perché lo detestano?
«Forse perché è ricco. Ma che cosa si gode della sua sudata ricchezza? Niente, proprio niente. Lo stipendio di premier lo dà in beneficenza, ha abbellito a sue spese Palazzo Chigi, “mamma, vedessi che disastro i bagni”, mi telefonò il primo giorno che ci mise piede. Lavora come un dannato dalla mattina alla sera e in cambio riceve solo insulti. S’è fatto amici tutti gli statisti, oggi l’Italia è rispettata nel mondo. I comunisti lo odiano perché gli ha impedito di prendere il potere. Lo vorrebbero morto o in galera. Ma che cos’hanno fatto di buono, loro, per il nostro Paese? Pussè che fà scioperi, nagòtt, niente».

Ma Silvio non si riposa proprio mai?
«Appena può corre in Sardegna a guardare la sua montagna».

Quale montagna?
«Villa La Certosa. Rob de mat, scrive discorsi anche là. Gli amici gli hanno fatto una sorpresa: un libro con le foto di quel paradiso terrestre. Silvio ha una venerazione per la natura». (...)

Quando nel 1994 suo figlio decise di scendere in campo, lei era d’accordo?
«No. Ma non gli dissi nulla. Ora ho paura per questo accanimento nei suoi confronti. Hanno sparato al Papa, figurarsi se non possono tirare un colpo di rivoltella anche a lui».

Immagino che lei voti per Forza Italia.
«Si capisce».

E prima per chi votava?
«Non mi ricordo più. Sono passati tanti anni...».

La aiuto. Per la Dc?
«Certo non per i comunisti».

Le hanno rinfacciato di chiamarsi Rosa come la mamma di Mussolini.
«In famiglia ero Rosetta. Il mio Gino mi ha chiamato fin da subito Rosella e Rosellina. E di cognome faccio Bossi. Una volta glielo rinfacciai al capo della Lega: le sembra un caso che una Bossi abbia sposato un Berlusconi? Faccia il bravo, la prego. Ora la malattia lo ha migliorato, lui è fra quelli che vogliono più bene a Silvio. Sperèm».

Ma chi è l’amico più fidato?
«Sono due: Fedele Confalonieri e Gianni Letta».

E l’amico più ingrato?
«Anche questi sono due: Enrico Mentana e Maurizio Costanzo. Non li sopporto».
(...)

Ma si può sapere quante sono queste benedette zie suore che pregano per Silvio?
«Erano sette. Ne restano due. Più due cugini sacerdoti».

Che cosa conta di più nella vita?
«L’amore. Amare ed essere amati sono le uniche cose che valgono».

Le capita di pensare al “dopo”?
«Non ho paura. Sono pronta. Mi metto nelle mani di Dio.

Silvio ha fatto preparare una bella tomba di famiglia nel suo parco, ma la Giunta di sinistra non gli ha dato il permesso di usarla. L’è cussì bella, ha tanti posti... Io non so se vado lì oppure al Monumentale col mio Gino, suor Silviana, zia Marina e mia sorella Maria che è morta tre mesi fa».

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