QUELLA VOLTA CHE ROMANO FUGGÌ

QUELLA VOLTA CHE ROMANO FUGGÌ

Caro direttore, la drammatica scelta elettorale m'impone di ricordare un episodio della mia vicenda culturale cristiana che mi vide a confronto con Romano Prodi. Si tratta di un corso di formazione per assistenti sociali organizzata dalla Fondazione di studi sociali Zancan di Padova diretta da Mons. Nervo che fu anche presidente della Caritas italiana.
Siamo agli anni del compromesso storico di Berlinguer e a coordinare il corso residenziale a Senigallia c'era Flavia Franzoni, assistente sociale e docente della scuola di Bologna. La prima giornata prevedeva una rassegna della storia unitaria che io configuravo per l'aspetto culturale e religioso, e Romano per le vicende economiche. Io feci la mia relazione individuando le varie fasi dal primo al secondo risorgimento come definivamo l'unità costituente del dopoguerra. Raccontai il passaggio dalla fase astensionista del cattolicesimo sociale alla nascita del partito popolare e poi Democrazia cristiana e insieme parlai della nascita e sviluppo del movimento socialista e poi comunista secondo una progressiva acquisizione della democrazia costituzionale occidentale.
Romano Prodi, dopo di me, sviluppò le fasi correlative della storia economica con un discorso sibillino e contorto basato sulle tipiche statistiche degli indici economici in chiave vistosamente neutrale. Posi a Flavia da parte degli studenti presenti, la difficoltà di capire il rapporto tra i dati statistici di Romano e la mia visione di convergenza culturale e politica delle diverse componenti popolari dal primo al secondo risorgimento. Ricordo che Prodi, guardandomi con un ghigno feroce, mi disse: Orlando è venuto a fare il contestatore comunista anche qui? Se è così, io me ne vado. E così lasciò il tavolo tra lo stupore della moglie, mio e soprattutto degli assistenti sociali.
Quando negli anni seguenti uscì dall'ombra dalla sue ricerche bolognesi come leader di un nuovo compromesso non storico ma molto mediocre e confuso, mi ricordai del suo gesto. Non posso negare che quando ho visto che la nuova sinistra ha puntato su di lui per unire le varie componenti degli ex-popolari, ex-comunisti, ex-socialisti, ho sospeso la mia adesione a tale superficiale pastrocchio, in attesa vigile di una vera sinistra laburista e popolare a confronto con un partito liberale e popolare. Ma non vedo il partito democratico tra i capi e le culture di questa Unione affidata a Romano Prodi, che ho visto rovinare l'Iri, rovinare la commissione europea, rovinare l'eredità del cattolicesimo integralista dossettiano. Per la sua capacità politica ricordo l'opinione di un politico di grande valore come Ciriaco De Mita che lo ha tacciato di vigliaccheria quando accettò il veto alla sua candidatura da parte dei comunisti di Avellino e ne ha paragonato il livello alla sua conoscenza del turco a proposito del partito democratico alla Clinton. Non mi attira, ma se fossi obbligato a un dibattito farei alcune domande a Romano Prodi relative al suo uso della fede cristiana in tutta la sua vicenda accademica, manageriale e politica e ne chiederei conto in nome dell'umiltà del nostro Re e Maestro.


Quanto alla politica mi limiterei al giudizio di grande competenza di Ciriaco De Mita, quando la definì di pari livello della la sua conoscenza del turco. Ma devo affidarmi alla Provvidenza perché liberi il nostro popolo dal sicuro fallimento sia del partito democratico che di un governo.

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